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Il lavoro minorile
L'impiego di fanciulli nelle manifatture e nelle arti come
garzoni (apprendisti) si registra a Venezia sin dai
secoli XIII e XIV. Una disposizione della magistratura dei
Giustizieri Vecchi del 1396, per controllare che i bambini
non siano sottoposti ad uno sfruttamento troppo pesante, obbliga
i capi mastri a trascrivere i contratti di lavoro in un apposito
registro conservato presso la Magistratura stessa. Dai contratti
di lavoro dei garzoni (iniziano a lavorare in genere verso
i 12 anni) veniamo a sapere che il padrone si impegna a insegnare
l'arte al discepolo bambino, a mantenerlo e a retribuirlo,
e il garzone è obbligato a non abbandonare il maestro
prima della scadenza del periodo di apprendistato. Si può
presumere tuttavia che molti fanciulli, e soprattutto fanciulle,
sfuggano a questo controllo, impiegati nel lavoro tra le pareti
domestiche, nelle manifatture a domicilio o negli Istituti.
Alla fine del '700 i bambini e le bambine dell'Istituto
della Pietà iniziano a lavorare a 7 anni.
Nel corso del Settecento, con il declino economico della
città, va in crisi anche l'istituto del garzonato.
Leggendo le relazioni settecentesche colpisce la diffusione
del lavoro femminile e minorile nelle industrie tessili:
il minor costo di questa mano d'opera determina la sua progressiva
sostituzione a quella maschile nella manifattura tessile,
sancita con l'apertura del garzonato nel 1745 e con l'abolizione
dell'Arte nel 1782.
La presenza di fanciulli parenti del maestro nella bottega
artigiana ha ancora tuttavia - per tutto il '700 - l'aspetto
di industria domestica basata sulla cooperazione dei membri
della famiglia.
E' invece nell'estendersi dell'industria a domicilio e nella
fabbrica, in seguito alla rinascita economica dell'Ottocento
che vede diventare Venezia una della maggiori città
industriali d'Italia, che il lavoro minorile viene impiegato
senza limiti d'età e regole protettive. Lo sfruttamento
dell'infanzia emerge in tutta la sua drammaticità
e viene denunciato da molti osservatori che sollecitano il
Governo ad intervenire, così come già è
avvenuto in paesi come l'Inghilterra e la Francia.
L'iter per arrivare ad approvare una legge che regolamenti
il lavoro dei fanciulli è piuttosto lungo.
Nel 1843 il Governo austriaco emana un decreto sulla regolamentazione
del lavoro dei fanciulli che proibisce ai minori di nove anni
l'accesso alle fabbriche che impiegano più di 20 operai
e a quelle dove vi sono lavorazioni nocive; i maggiori di
15 anni devono aver frequentato due anni di scuola elementare.
L'orario di lavoro giornaliero non deve superare le 10 ore
per i minori di 12 anni, è proibito il lavoro notturno
per bambini tra i 9 e 10 anni; è vietata la promiscuità
tra i sessi e l'uso di punizioni corporali. Sono obbligatori
due anni di istruzione elementare (vedi anche la scheda su
"Scuola
austriaca - Scuola italiana").
L'ambito di applicazione della legge è assai ristretto:
solo 24 sono nel 1844 le industrie che superano i 20 operai
.
La legge del 21 dicembre 1873 vieta l'impiego di fanciulli
in professioni
girovaghe.
A ridosso dell'unificazione, dal censimento del 1869 risulta
che 135 professioni, su 270, impiegano bambini tra i dieci
e i quindici anni e 15 tra i cinque e i dieci anni: 1730 maschi
e 1.075 femmine (2.805 in totale).
"Cresce in mezzo a noi questa ragazzaglia
turbolenta e minacciosa: questi bambini pallidi, sparuti,
scarmigliati hanno già il livore nell'animo, queste
fanciulle alle quali è fatto perdere il pudore prima
ancora che possano commettere la colpa, frammischiate di giorno
e di notte cogli adulti, testimoni e complici di impudicizia;
si vendicano poi di una mercede che è limosina e di
un lavoro che è tortura, e sfogano almeno coi piaceri
del senso quel bisogno di vita gaia che è richiesta
dal sesso e dall'età.
[
] E chi si reca volentieri a visitare i ristretti,
angusti ed umidi locali delle piccole fabbriche? Chi si reca
volentieri a vedere quella riunione di cenci, quell'accozzaglia
di povera gente, quella confusione di lavoro a mano, interrotto
da un lento battere di vecchi telai? Chi regge al puzzo di
quei siti, all'aria mefitica ed alla sporcizia? Quale signora
metterebbe il suo piedino o trascinerebbe la sua veste in
mezzo a quelle immondizie?"
si chiede Alberto Errera alla vista delle condizioni in cui
lavorano fanciulli e fanciulle nelle fabbriche [in A proposito
di un progetto di legge italiana sul lavoro delle donne e
dei fanciulli, Napoli, Vallardi editore, 1880] e appoggia
il progetto
di legge del 1879 che pone dei limiti al lavoro minorile.
Sono favorevoli prefetti, Consigli sanitari, Comuni. Sono
contrari parecchi industriali e Camere di Commercio. Il Presidente
della società operaia ha delle riserve sugli effetti
che avrebbe a Venezia, perché in quella città
i ragazzi
disoccupati e oziosi abbondano.
Intenso è il dibattito in città. Tra i più
attivi sostenitori della legge vi è Luigi Luzatti.
Dal suo giornale "L'igiene infantile", il
dott. Cesare Musatti lancia allarmi contro il lavoro in fabbrica
delle madri, che ha influenze deleterie sulla salute dei figli,
e contro il lavoro troppo precoce dei bambini.
Ma il rapporto della Commissione sul lavoro, costituitasi
a Venezia per analizzare la situazione delle fabbriche locali
- il cui relatore è Giuseppe Toniolo -, conclude dicendo
che non vi è alcun bisogno di una legge protettiva
del lavoro delle donne e dei fanciulli; a Venezia risulta
essere limitata la presenza di fanciulli minori di 14 anni
nelle fabbriche, mentre è massiccio l' impiego di donne
e ragazzi/e dai 15 anni in su; il fenomeno tuttavia - secondo
la commissione - riguarda una piccola parte di industrie tradizionali
(merletti, perle, moda) e il progresso economico lo avrebbe
risolto (vedi in archivio la
relazione). (vedi foto n. 1)
Negli anni '70 dell'800 rinasce in laguna l'arte del merletto
e per addestrare le operaie viene aperta la Scuola del merletto
di Burano che impiega anche bambine, addette all'esecuzione
dei punti più facili. Il giornale socialista "Il
Secolo Nuovo" le descrive con i grembiulini bianchi,
intente ad un lavoro lungo e monotono, in locali chiusi, sorvegliate
dalle suore vestite di nero. Dovrebbe essere impartita loro
l'istruzione elementare, ma sovente si riduce a qualche lettura
durante il lavoro.
Michelangelo Jesurum, che rinnova in questi stessi anni la
produzione dei merletti a fuselli, apre una scuola a Venezia
e a Pellestrina.
L'apertura di queste "scuole", in realtà
si tratta di laboratori per l'apprendistato e l'aggiornamento
del lavoro, si moltiplica: nel 1879 le ragazze veneziane leggono
sui manifesti murali l'annuncio dell'apertura della Scuola
professionale a S. Martino di Castello, alla quale possono
andare ragazze di età non inferiore ai 9 anni che sappiano
leggere e scrivere. Dopo un anno si promette che le alunne
saranno in grado di guadagnare una modesta cifra che può
aumentare mano a mano che si affina la tecnica, dopo di che
le ragazze potranno ricevere lavoro da eseguire a domicilio.
Nel 1886 viene emanata una prima legge che
limita l'ammissione al lavoro dei fanciulli al di sopra dei
9 anni e abolisce il lavoro notturno (vedi in archivio il
testo).
La legge non cambia nulla, dal momento che la maggior parte
lavora in piccoli laboratori, inoltre è poco rispettata.
Nel 1887 i fanciulli al di sotto dei 15 anni risultano essere
1.029, ma i libretti distribuiti dal Comune risultano essere
solo 170: 93 maschi e 77 femmine.
55 fanciulle lavorano come operaie nel Cotonificio veneziano
da poco aperto. Fanciulli e fanciulle operai si trovano anche
nella fabbrica di fiammiferi Baschiera, nelle cererie, maglierie
e nei laboratori che sorgono in tutta la città negli
ultimi decenni dell'800.
Molte ragazze e bambine troviamo addette ai lavori a domicilio
e nel servizio; i ragazzi lavorano a bottega, si dedicano
ai lavori ambulanti o al facchinaggio (vedifoto n. 2, 3 e
4).
Nelle maggiori fabbriche le condizioni dell'infanzia operaia
continuano ad essere durissime. Perfino la "Gazzetta",
giornale moderato, denuncia le frequenti disgrazie che si
verificano, imputate alla scarsa sorveglianza. Ha solo 12
anni Maria, piccola cotoniera, che si frattura una gamba a
causa del sopraggiungere di un carro mentre si dondola, con
infantile spensieratezza, appoggiata ad una colonna. ("Gazzetta
di Venezia", 21 settembre 1886)
Negli ultimi anni dell'800 il movimento socialista
- che anche a Venezia promuove leghe di resistenza, anima
scioperi, organizza comizi e manifestazioni sulle condizioni
di vita e di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici - fa
propria la battaglia per la protezione del lavoro femminile
e minorile.
Grazie anche all'iniziativa del Partito Socialista si giunge,
nel 1902, all'approvazione della Legge
sul lavoro delle donne e dei fanciulli.
Negli anni successivi ragazzi e ragazze minorenni continuano
a lavorare in vario modo; il regolamento d'attuazione infatti
prevede che coloro che non hanno completato l'obbligo scolastico
possono frequentare "scuole" interne agli stabilimenti
o le scuole
serali e festive.
Nelle fabbriche "femminili" - Cotonificio, fiammiferi
Baschiera, maglificio Herion - moltissime sono le fanciulle,
non poche dall'aspetto malato e denutrito, come denuncia
il giornale socialista "Il Secolo Nuovo".
Poco più che bambine sono le sartine e le stiratrici
che, per 20-25 centesimi appena, stanno per 15-16 ore davanti
ai fornelli per scaldare il ferro, in locali angusti e sovraffollati
dove manca l'aria e dove ristagnano fumi e odori. Nella Manifattura
Tabacchi, il cui regolamento prevede l'età dell'assunzione
a 17 anni, vengono assunte fanciulle di età inferiore,
come apprendiste, senza contratto (vedi foto n. 5 e 6).
Il medico dell'Ufficio d'igiene Raffaello
Vivante raccoglie in questi anni dati sulla tubercolosi
dai quali risulta come questa malattia colpisca soprattutto
le giovani donne tra i 15 e i 20 anni a causa delle loro precarie
condizioni sociali e lavorative: elevata è la mortalità
delle giovani operaie delle fabbriche (Cotonificio, Tabacchi,
Fiammiferi), ancor più elevata tra le lavoratrici a
domicilio (infilaperle) "che appartengono alla parte
più povera della popolazione, quella addensata in ambienti
dove l'umidità, la ristrettezza dello spazio, l'insufficiente
ventilazione favoriscono la diffusione dell'infezione"
(vedi foto n. 7 e 8).
Molte (28 su 100) muoiono prima dei vent'anni: di queste 11,59
sono lavandaie, 11,82 domestiche, 12,82 maestre, 13,01 casalinghe,
14,13 sarte e modiste, 18,82 sigaraie, 23,84 perlaie, 26,31
infilaperle, 35,48 operaie del Cotonificio. (R. Vivante, La
tubercolosi polmonare in Venezia, Venezia 1904)
Anche se ricattabili le apprendiste non sono meno combattive:
200 giovani operaie del Cotonificio danno vita nel 1898 a
una vertenza che dura settimane, con intervento della polizia.
100 fanciulle scioperano nel 1905 per chiedere un aumento;
non ottengono nulla ma dopo pochi mesi la protesta riesplode.
Non sono infrequenti gli episodi di ragazze schiaffeggiate
e maltrattate da sorveglianti e controllori. Nel 1906 una
ragazzina di 14 anni, Maria Venturini, denuncia un controllore
per maltrattamento. Si celebra un processo durante il quale
- davanti a una folla numerosa accorsa - le giovanissime compagne
di Maria, ascoltate come testimoni, raccontano di schiaffi,
offese e molestie.
[Fonte: Stefano
Sorteni, Bambini e lavoro, in La scoperta dell'infanzia.
Cura, educazione e rappresentazione. Venezia 1750-1930,
a cura di N. Filippini e T. Plebani, Marsilio, Venezia 2000.
Maria Teresa Sega, Lavoratrici, in Storia di Venezia.
L' Ottocento e il Novevcento, vol II, Enciclopedia Treccani,
2002.]
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Foto 1. Laboratorio per l'infilatura delle perline, incisione
di Ramus da un quadro di Van Haanen presente all'esposizione
Universale di Parigi, 1878

Foto 2. Venditore di aranci, Venezia
1866, foto Fantuzzi (Museo Correr)

Foto 3. Piccoli barcaioli. Venezia 1866. Foto Fantuzzi (museo
Correr)

Foto 4. "Vendi Sorbeto". Venezia 1866. Foto Fantuzzi
(Museo Correr)

Foto 5. Fabbricazione di fiammiferi (primo Novecento)

Foto 6. Altra immagine di bambina impiegata nella fabbricazione
dei fiammiferi (primo Novecento).

Foto 7. Ragazze e donne che infilano
perline a Castello, primo '900.
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