[sintesi a cura di mts]
Sul lavoro delle donne e dei fanciulli nelle industrie
manifatturiere di Venezia e sopra alcuni criteri di legislazione
industriale in Italia, Conclusioni del Rapporto della Commissione
presso il Comitato di studi economici di questa città,
in "Giornale degli economisti", 1877, pagg.
109-127.
Relatore Toniolo.
La commissione è composta: P. Fambri relatore per
la parte generale; Prof. P. Ziliotto; dott. C. Musatti per
i dati igienici; A. Dal Cerè; Avv. A. L. Stivanello;
Eug. Morpurgo; prof. G. Toniolo.
Maggiori stabilimenti industriali che occupano in modo
prevalente donne e adolescenti.
L'impiego di questi al di sotto dei 14 anni non è esteso,
mentre è preponderante quello delle donne dai 14 in
su nella fabbrica tabacchi e zolfanelli. Il lavoro è
diurno è di durata contenuta bella fabbrica dei tabacchi
(9ore), mentre nella fabbrica zolfanelli, trattandosi di adolescenti,
risulta prolungato, anche se non supera il limite delle 12
ore.
L'istruzione degli operai è scarsa, nessuna iniziativa
viene fatta a favore della previdenza.
Industrie caratteristiche di Venezia e industrie artistiche
(conterie, merletti).
Nella fabbrica della Conterie a Murano è ridotto numero
di fanciulli maschi; numerose invece le donne addette ad operazioni
complementari in fabbrica e a domicilio.
La manifattura dei merletti, come è naturale
è del tutto femminile. Il lavoro femminile a domicilio
è lungamente protratto e alquanto nocivo alla salute
per la immobilità della persona, e ancor spesso incerto
e saltuario.
Imprese diverse di produzione ordinaria
Medie officine e industrie domestiche e di mestiere: donne
e fanciulli sono impiegati in operazioni accessorie o complementari
non nocive, se non indirettamente per le condizioni non buone
dell'edilizia a cagione delle peculiari circostanze topografiche
della città, in cui spesso difettano l'aria e la luce.
Educandati o istituti pubblici che hanno carattere di
laboratori industriali.
Questi istituti subordinano interamente lo scopo di speculazione
a quello della educazione o ad altri fini civili… per
il senso di responsabilità di chi li regge che evita
ribassi possibili nei prezzi.
Negli istituti visitati si nota la tendenza a variare i mestieri
e le arti del tirocinio, più ricca la strumentazione,
l'istruzione meno pedante e ristretta, più moderni
i processi produttivi. Compito degli educatori non è
reprimere o mutare la natura degli allievi, ma favorirne lo
sviluppo affinché riescano a rialzare per l'avvenire,
di conformità alle esigenze dei tempi, le condizioni
del lavoro muliebre e degli adolescenti e con esse lo stesso
stato morale ed igienico delle classi rispettive.
La Commissione espone alcune osservazioni finali.
1. Vi sono industrie nuove o rinnovate che hanno
i caratteri della grande fabbrica moderna , alcune delle quali
impiegano prevalentemente donne e fanciulli. In queste però
non vi sono abusi verso i dipendenti, anche se sono insufficienti
gli uffici di patronato e di beneficenza. Predomina negli
imprenditori uno spirito di benevola sollecitudine verso i
subordinati: il quale, se non si traduce ancora in concreti
provvedimenti educativi e di sociali migliorie, pure tempera
la crudezza dei semplici rapporti d'interesse…
Per queste industrie una legislazione industriale potrebbe
affrettare l'introduzione di più radicali provvedimenti
igienici, garantire l'istruzione, ecc. ma non potrebbe
invocarsi come un necessario provvedimento di preservazione
sociale.
2. Le industrie artistiche sono risorte negli ultimi
anni ma quelle del mosaico, dell'intaglio, dell'intarsio ecc.
non assumono fanciulli inesperti e irrequieti in operazioni
che non si prestano alla divisione del lavoro e agli uniformi
procedimenti meccanici; richiedono doti (precisione, originalità)
che sono il frutto del lungo esercizio della mente e della
mano. I fanciulli presenti sono apprendisti che compiono il
tirocinio dell'arte che non assomiglia al lavoro assiduo e
uniforme delle moderne industrie. Per queste industrie una
legge proibitiva sarebbe superflua.
3. Medie imprese e manifatture domestiche storiche
per l'origine, consuetudinarie per l'assetto e per i procedimenti
come i merletti e le conterie che per l'operazione complementare
della infilatura delle perle, compone da più secoli
l'occupazione domestica delle nostre popolane. In queste
si riscontra il lavoro prolungato, nocivo e male remunerato,
fattori che non dipendono - secondo i relatori - da una esaltazione
dello spirito industriale, ma all'opposto dalla lentezza
medesima o dalla intermittenza con cui circola la vita in
queste estreme propaggini dell'organismo economico.
Nelle industrie stazionarie infatti l'imprenditore, per reggere
la sua impresa, è obbligato a ridurre il numero degli
operai e di sfruttare al massimo i rimasti con un lavoro prolungato
e scarsamente retribuito. Altre industrie che subiscono gli
influssi della moda alternano momenti di superlavoro con periodi
di scarsità. I lavoratori si fanno concorrenza assumendo
lavoro per compensi bassi, non avendo altro modo di compensare
la scarsezza che prolungando il tempo di lavoro; trattandosi
di lavoratrici a domicilio, il guadagno non basta nemmeno
a vivere, ma appena un tenue supplemento ai redditi del
marito.
In tali condizioni di sofferenza una legge limitatrice non
ha ragione di essere e sarebbe in ogni caso inefficace. Gli
effetti non sono solo economici ma anche morali perché
il lavoro prolungato, che sia imposto da un padrone o subito
volontariamente per bisogno pressante, nell'uno come nell'altro
caso perde la sua funzione educatrice. Simili anche le abitudini
sociali: nelle fabbriche gli operai insorgono contro l'imprenditore
con lo sciopero, nelle industrie domestiche con le frodi sulle
materie prime affidate, la rottura dei contratti, il passaggio
da un padrone all'altro.
Quando l'eccesso del lavoro deriva dallo spirito di speculazione
dell'imprenditore, può servire una legge limitatrice;
quando invece deriva da condizioni opposte, da necessità
di sopravvivenza, una legge sarebbe impotente o addirittura
dannosa per quelle stesse persone che si vogliono proteggere.
Il rimedio è in un'opera sociale, in collaborazione
di tutte le classi e forze vive della società, per
promuovere una trasformazione economica.
Il rinnovamento delle industrie elementari e antiquate, che
hanno le caratteristiche della manifattura domestica (merletti)
ha bisogno di sussidi e sostegno. Quindi l'intervento pubblico
deve essere di promozione e sostegno dell'opera spontanea
di rigenerazione. Ogni altro freno posto da una legge proibitiva
o moderatrice risulterebbe inefficace.
La conclusione è che una legge limitatrice del
lavoro non conviene. In nessun caso la legge basta da
sola, va affiancata da iniziative educative e di previdenza.
Accanto alla necessità di limitare o interdire il lavoro
alle donne in certi rami dell'industria, vi è l'altro
di offrire alle donne attività più ampie e confacenti:
dalla moda all'oreficeria, al commercio , alle amministrazioni
pubbliche, le poste e telegrafi, l'istruzione. A proteggere
il lavoro industriale della donna non serve chiudere l'accesso
alle grandi manifatture, o moderarne il lavoro, se contemporaneamente
non si provvede avviandole con l'istruzione ad occupazioni
più varie, più simpatiche, più armonizzanti
colla loro missione domestica e sociale.
Pur prevalendo nella commissione la persuasione dell'opportunità
di legiferare, chiede che la legislazione nella sua applicazione
sia varia e flessibile per adattarsi a condizioni produttive
diversissime.
Alla fine si vota il seguente ordine del giorno: per
il Comitato veneziano dell'Associazione del progresso degli
studi economici a Venezia non c'è bisogno di una legge
che regoli il lavoro delle donne e dei fanciulli; se sarà
fatta si raccomanda che le limitazioni degli adolescenti siano
coordinate con l'istruzione; che sia accompagnata dalla fondazione
di scuole d'arti e mestieri.
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