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EDUCAZIONE / LAVORO  
   
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Educazione al lavoro

[…] chi passa in ozi il giorno / nemico è del lavor. / Avrà la fame intorno e dietro il disonor. […] Ma se dall'Alpi ad Taro / ci turbi lo stranier / stringendo in man l'acciaro /saprenci far temer.
Canzoni popolari ad uso delle scuole Comunali di Venezia composte da Domenico Acerbi, direttore del canto, 1878.

Dopo l'annessione di Venezia al Regno d'Italia la "questione sociale" incalza la scuola a rispondere alle esigenze dei tempi assumendo il compito dell'educazione popolare, sia primaria che adulta, con lo scopo di far accettare ad ognuno il proprio posto nella scala sociale, abbandonando dannose ambizioni o ancor più dannosi odi di classe, e nello stesso tempo sentirsi parte di un unico organismo che l'ideologia della nazione e l'amore di patria servono a cementare.

L'educazione moderna "ha per iscopo di apparecchiare il fanciullo-uomo, affinché ne provenga una generazione vigorosa, morale, patriottica, confidente nelle sue non meno che nelle forze e attitudini del suo paese" afferma il prof. Adolfo Pick, sostenitore del lavoro educativo. L'educazione al senso del dovere, all'obbedienza e al rispetto dell'autorità ad ogni livello, accompagnate dall'addestramento al lavoro, deve iniziare per essere efficace fin dalla primissima infanzia. Per questo Pick è sostenitore del lavoro manuale anche nelle scuole elementari, così come già da vari anni è stato introdotto nei giardini d'infanzia: l'insegnamento impartito troppo teorico e scientifico, senza relazione con la vita reale, contrasta con le esigenze dei tempi che richiedono alla scuola di preparare, "se non compiuti operai, almeno docili e intelligenti apprendisti". Talmente convinto ne è che vorrebbe si scolpisse all'entrata degli edifici scolastici il motto benedettino "Ora et labora".

"Inculcare ne' giovani l'amore la lavoro retto da istruzione e intelligenza, far loro comprendere che se l'istruzione è un diritto, il lavoro è un obbligo maggiore in chi da esso è redento; e che tal obbligo sociale diviene solo entro certi limiti e speciali condizioni ancor esso un diritto; crescerli sobri, previdenti, attivi, fiduciosi ed onesti deve essere il primo scopo dell'educatore".
Così scrive Angelina Nardo nel giornale l'"Educazione moderna" (n 1-2, gennaio-febbraio 1871)

Per essere efficace l'educazione al lavoro deve iniziare molto precocemente; indocilità e resistenza all'"addomesticamento" infatti aumentano colo crescere dell'età.
L'asilo S. Marziale viene riformato, secondo le teorie froebeliane adattate alle esigenze locali, nel 1869 da Laura Goretti Veruda, che introduce un'ora di lavoro durante la quale i bambini sono impegnati in lavori di intarsio,
"nel copiare disegni lineari con pezzetti di cartone tagliati a foggia di bastoncini e dai bastoncini ritrarre col lapis i disegni medesimi. E per istillare negli animi la santa idea del lavoro e il fecondo principio di associazione e di fratellanza fra gli operaj, li volle uniti a quattro a sei per far loro costruire con cubi, tetraedi ed altri solidi, case, chiese, officine e fin'anco un villaggetto."

Le bambine svolgono attività manuali, consone al loro genere.
"A quelle povere piccine che dai tre ai cinque anni stavano con le manine intrecciate o cascanti, o con la testina appoggiata alla panca mentre le altre lavoravano, furono posti in mano delle listarelle di carta a vari colori, perché cominciassero ad occuparsi ed a formare intrecciature di foggie diverse, di diverso disegno. A quelle dai cinque ai sette anni oltre all'insegnamento del leggere, scrivere e lavori propri della loro età fu appreso a formare con la carta panierini, cestelle ed altri piccoli oggetti, a premio e sollievo; come pure ad indirizzo per entrare nella fabbrica di cartonaggio della nostra città nel caso i genitori volessero collocarle."
(A. Pick, L'ora di lavoro per i fanciulli degli asili di carità in Venezia, "L'educazione moderna", n. 4, luglio 1870)

L'iniziativa educativa sperimentata dalla Società anonima per i lavori di cartonaggio, fondata nel 1868 per dar lavoro a ragazzi e ragazze abbandonati dediti all'ozio e al vagabondaggio, evidenzia la difficoltà di istruire e far accettare la disciplina del lavoro a ragazzi abituati a vivere di espedienti nelle strade, tanto che molti di loro abbandonano il laboratorio o vengono licenziati "per riottosa indole o per invincibile inettezza, dopo però aver tentato tutte le vie che la carità suggerisce a vantaggio del costume e dell'industria" - si legge nella Relazione sulle condizioni dello stabilimento, del 13.2.1868 - e si insiste sul " penoso travaglio per ammansare la caparbietà di taluni non abituati alla disciplina ed al lavoro", nei confronti dei quali ogni sforzo risulta inefficace e si sottolinea come potrebbero diventare onesti operai se fossero "dirozzati" e istruiti fin dalla tenera età. Dovette perfino essere abbandonata la lezione di ginnastica, introdotta per alleviare la sedentarietà, perché ottenne l'effetto contrario al desiderato, "a motivo della sfrenata insubordinazione" di qualcuno.
Le ragazze, nonostante anche tra loro si registrino abbandoni, sembrano meno riottose alla disciplina. Con soddisfazione il relatore scrive:

La speranza che le giovanette avrebbero in generale meglio degli allievi corrisposto ai comuni desideri per carattere loro più tranquillo e per maggiore suscettivittà alla diligenza e al lavoro, non andò fallita.

Il valore del lavoro è uno dei contenuti più importanti e presenti nei testi scolastici e di carattere educativo. Negli anni successivi all'unificazione si afferma anche in Italia il principio del self-help, teorizzato da Samuel Smiles, tradotto in italiano col titolo Chi s'aiuta Dio l'aiuta (1865), divulgato da libri come Volere e potere di Michele Lessona (1869), Gli eroi del lavoro proposti all'imitazione del popolo di Gustavo Strafforello (1872) e dello stesso autore Le battaglie per la vita (1902) .
Attraverso il lavoro delle proprie braccia il povero può emanciparsi dal bisogno, differenziarsi dai pezzenti, dai mendicanti, dagli assistiti.

L'ideologia del "lavorismo" pare tuttavia prevalere nei manuali scolastici più con l'intento di confermare le differenze sociali, piuttosto che in quello di promuovere l'emancipazione, mediante il lavoro, delle classi subalterne.

I programmi di Gabelli del 1888 accennano alla "laboriosità", al "coraggio dell'intraprendere" all' "attitudine al fare", qualità potenziate da un'educazione non astratta ma concreta, basata sull'osservazione della vita quotidiana.
Sono i programmi Baccelli del 1894 però a introdurre il lavoro come materia d'insegnamento facoltativa. Nel 1899 Baccelli fa uscire le sue "Istruzioni e programmi per l'insegnamento delle prime nozioni di agricoltura, del lavoro manuale educativo, dei lavori donneschi, dell'igiene e dell'economia domestica nelle scuole elementari."
I bambini si esercitano nel "lavoro manuale", di carattere agricolo nelle scuole rurali, le bambine nel "lavori donneschi": rudimentali ricami e rammendi su imparaticci, confezionatura di semplici capi d'abbigliamento (vedi una scheda di descrizione più analitica).
I programmi del 1905 - istituendo il corso popolare, la V e la VI, con carattere di preparazione al lavoro - ridimensionano l'importanza del lavoro manuale nelle prime classi, abolendolo in prima.

Proprio la prima classe è frequentata dalle alunne più povere, la cui età supera spesso i 7 anni - denuncia la maestra Elisa Meloncini - , secondo la quale quanto più le fanciulle sono trascurate in casa, tanto più la scuola dovrebbe supplire perché l'educazione delle femmine si impone come necessità. E' anche lei convinta come il Pick che l'amore per il lavoro vada infuso fin dalla prima età per sottrarre le bambine a quell' "atavica inerzia delle donne" ereditata dalle madri che se ne stanno sull'uscio di casa "sudicie, sciatte, inoperose".
Allettata dalla "visione di un laboratorio di minuscole operaie" la maestra Meloncini ha l'idea di dar vita a una scuola di lavoro per fanciulle che sfuggono all'obbligo e trova subito appoggio nella signora Ottavia Ghe e nella contessa del Bono, impegnate nella Società contro l'accattonaggio sorta nel1903.
Nella seduta del 14 giugno 1910 la Giunta Comunale si chiede se una scuola privata sia adeguata a rispondere al problema delle fanciulle povere e se non sia il caso di istituire doposcuola o ricreatori femminili così come furono istituiti ricreatori maschili.
Ottenuto comunque dal Municipio l'uso di un'aula nella Scuola Gozzi a Castello la Meloncini vi raccoglie fanciulle povere, subito accorse numerose, e organizza ciò che chiama "Laboratorio popolare femminile".
Iniziato l'anno scolastico e non potendo disporre di locali adeguati, raduna le ragazze a casa sua. Queste dimostrano di amare il lavoro manuale ed imparano velocemente diventando presto, anche le più subordinate, buone e tranquille. Due sorelle povere e trasandate, "due vere selvagge" che non volevano far nulla, molestavano di continuo le compagne e si ribellavano agli ordini, poco per volta si ammansirono fino a diventare irriconoscibili. "Perché prolungare la spensieratezza bambinesca in fanciulle chiamate prestissimo alla più grave missione della donna? - si chiede la Meloncini - a Pellestrina le bambine di sei-sette anni sono già al tombolo". (E. Meloncini, L'insegnamento dei lavori donneschi nelle scuole femminili, specie nelle classi V - VI, Venezia 1908) (vedi una sintesi in Archivio).

Ragazzi e ragazze che sono precocemente avviati al lavoro possono completare la loro istruzione o aumentare la loro qualificazione frequentando le scuole serali maschili o festive femminili.

 

 

Foto 1. Corso professionale presso la Pia Casa di Ricovero di Mestre. Anni '20.

Foto 2. Laboratorio di taglio. Centro di Giustizia minorile. 1946.

Foto 3. Scuola Bandiera e Moro. Officina meccanica. 1939-40.

Foto 4. Scuola Bandiera e Moro. Officina per la lavorazione del ferro. 1939-40.

Foto 5. Scuola Bandiera e Moro. Falegnameria. 1939-40.

 

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