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Scuole femminili
A partire dagli anni '70 anche a Venezia, come in altre città,
si fa sempre più insistente la richiesta di apertura
di scuole professionali femminili per dare impulso a un artigianato
di buon livello che risponda alla crescente domanda del mercato
borghese.
Emanuele Celesia, intervenendo al Congresso Pedagogico
di Napoli nel 1871, espone il suo progetto per avviare
le donne a nuove professioni, allontanandole dagli opifici,
indicando criteri e caratteristiche di scuole a loro riservate
che per meglio adattarsi alla realtà locale devono
avere carattere municipale; per le veneziane crede utile ad
esempio una scuola di pittura su vetro. (E. Celesia, Scuole
professionali femminili, Genova, 1869).
Progetti di apertura di scuole professionali femminili hanno
l'adesione anche di ambienti democratici e progressisti e
sono condivisi dalle esponenti dell'emancipazionismo tra cui
le collaboratrici venete del giornale "La donna"
come Gualberta Beccari e Rosa Piazza.
La Beccari interviene sul problema del precoce lavoro in fabbrica,
considerata luogo di rovina fisica e morale per le ragazze,
sostenendo invece la necessità dello studio professionale
attraverso il quale possano imparare un mestiere evitando
il tirocinio di apprendista da cui escono "fisicamente
e moralmente guastate" ("La donna",
10.10.1883. Vedi anche la scheda su emancipazione
e educazione femminile).
Futura educatrice delle nuove generazioni di cittadini la
giovane ha diritto ad essere istruita e la società
ha bisogno di farla crescere libera da pregiudizi e superstizioni,
consapevole di poter avere una parte attiva nella nuova patria.
E' il pensiero di Rosa
Piazza, collaboratrice del giornale tra le più
impegnate sul versante dell'educazione, prima abilitata in
pedagogia all'Università di Padova e insegnante nella
Scuola
superiore femminile.
Critica verso gli studi fatti in conventi e scuole private,
dove si respira un'aria bigotta e repressiva e lo studio è
superficiale e ripetitivo, esalta il valore sociale della
scuola pubblica all'interno della quale le maestre hanno un
importante ruolo di "madre modello". La valorizzazione
del ruolo materno, nel suo significato esteso di educatrice
e non solo di generatrice, identifica nella scuola il luogo
dove la donna acquista una funzione pienamente sociale.
(R. Piazza, Sulla educazione e istruzione della donna italiana,
Padova 1870; ead., Dell'educazione ed istruzione delle
donne, Venezia 1876).
In prima fila nella promozione di una scuola
professionale femminile a Venezia, la Piazza stende assieme
a Guglielmo Stella il progetto, il quale prevede il disegno
come materia di base, limitando lo studio al programma
elementare, e la creazione di laboratori gestiti da artigiani
del settore - merletto, perle, moda - per apprendere o perfezionare
il gusto artistico al fine di migliorare l'industria "casalinga"
cittadina.
Le allieve " non devono uscire né saputelle né
mezze letterate, ma buone e brave operaie" per le industrie
esistenti in città, si legge nel Progetto per la fondazione
di una scuola professionale femminile in Venezia, scritto
assieme a Guglielmo Stella nel 1885; il concetto viene ripreso
nel Regolamento di qualche anno dopo (1891) dove si legge
che della scuola sente la necessità un'intera classe
di fanciulle che attualmente investono i loro sforzi per l'avvenire
in indirizzi di studi che aumentano il loro disinganno e producono
delle "spostate": il riferimento è a quel
"contingente delle illuse nell'aspettazione della carriera
magistrale" che ha come unico e "non splendido ufficio"
quello della maestra elementare.
La necessità dell'educazione delle bambine è
intesa come controllo, non come emancipazione culturale. Ecco
cosa scrive un autore intervenendo nel dibattito:
Occupiamoci dunque in modo speciali delle
bambine, e curiamone la educazione, strappandole al trivio
e al lupanare, e avviandole a guadagnarsi il pane con lavori
adatti alle loro forze fisiche ed intellettuali, ma rivolgiamo
in precipuo modo le nostre cure a procurar loro mestieri più
facilmente a loro profittevoli, e non alimentiamo di troppo
le loro ambizioni col procurare una educazione superiore alla
loro condizione. Nelle attuali circostanze abbiamo più
bisogno di oneste e brave operaje, di operose domestiche,
che di soverchie maestre. Un'educazione troppo raffinata non
è sempre vero che avvantaggi l'esistenza futura di
un a povera bambinaNon vi è condizione più critica
degli spostati." ". ( D. FINOCCHIETTI, Ancora
dei bambini poveri, "Ateneo Veneto", vol. II,
1882, p.266).
Molte sono le ragazze attratte invece dalla professione di
maestra.
La "Scuola
normale" per la formazione delle future insegnanti
elementari è l'unico corso di istruzione superiore
per le ragazze, fino all'apertura, nel 1869, della Scuola
superiore femminile, che offre però alle figlie di
famiglie borghesi una generica e sostanzialmente esornativa
istruzione post-elementare, senza fornire alcune preparazione
professionale specifica, "onde farne brave ed utili donne,
non donne in toga", si legge nella Monografia pubblicata
dal Municipio nel 1873, La scuola superiore femminile di
Venezia.
Intervenendo al Congresso Clotilde Tiboni, insegnante e direttrice
della scuola professionale cittadina, invoca una riforma dell'istruzione
femminile estendendo l'obbligo a due classi complementari
dopo la terza, ma diversificandola in modo che si adatti alla
condizione sociale delle allieve; conscia del fatto che questa
spaccatura è contraria all'indole dei tempi, ne è
tuttavia convinta, onde evitare che la fanciulla povera senta
il morso dell'invidia e del rancore vivendo a fianco della
ricca, "oppure una dolente rassegnazione come di creatura
fatalmente predestinata al dolore". (C. Tiboni, La
scuola femminile, "Ateneo Veneto", a. XXV, vol.
I, fasc. I, gennaio-febbraio 1902, p. 54)
La segregazione sessuale e sociale dell'educazione, cui corrisponde
una scissione tra attività intellettuali e attività
manuali, è quindi accettata, con motivazioni diverse,
da parte dei riformatori e delle riformatrici che pure si
battono per il prolungamento e l'estensione dell'obbligo scolastico,
in sintonia con l'idea corrente di scuola che non si prefigge
la promozione sociale dell'individuo, né la sua realizzazione,
ma la conferma dell'ordine esistente, idea alla quale il movimento
emancipazionista contrappone la battaglia per la coeducazione
e per l'accesso alle professioni e alle carriere.
Completati i primi tre anni obbligatori, le ragazze veneziane
che vogliono proseguire gli studi possono frequentare, a partire
dal 1904, i due anni di corso popolare (IV e V) che prepara
i maschi ad accedere ai corsi professionali superiori o ad
inserirsi nelle officine e negli stabilimenti industriali,
le femmine al lavoro in genere e alla vita di famiglia.
Alle figlie del popolo più fortunate che vogliono e
possono andare oltre si prospetta una istruzione adeguata
al loro stato e finalizzata all'esercizio di un lavoro industriale
o un impiego nelle aziende di commercio. Coloro che già
lavorano possono ricevere un' istruzione elementare o migliorarla
frequentando le scuole
popolari per lavoratori adulti , - serali per i maschi
e festive per le femmine - che il neonato Municipio istituisce
nel 1867. Imparano a leggere, scrivere e tenere i conti di
famiglia, qualche precetto di igiene e di economia domestica,
poca storia, poca geografia, poche scienze.
Nel registro del 1871 dell'insegnante Maria Caldaroli - conservato
nell'Archivio storico comunale - sono annotati i temi di lingua
assegnati: una giovane servente, da mesi lontana da casa,
scrive alla vecchia madre mandandole i primi risparmi; una
sarta offre il suo lavoro ad una signora; una cucitrice e
stiratrice stende la lista delle fatture chiedendone il pagamento.
Ecco alcuni problemi dei quali si chiede la risoluzione:
Lauretta lavorò per una signora
15 giorni e prese Lire 25,50, lavorò giorni 20 per
raggiustare la biancheria di una vecchio signore e prese £
30,90, lavorò altri 25 giorni per una madre di numerosa
famiglia e ricavò £ 40,50. […]
Una stiratrice guadagna £ 3,75 per settimana. Quanto
guadagna in un anno?
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Foto 1. Una classe dell'Istituto "Vendramin Corner"

Foto 2. Laboratorio di cucina al "Vendramin Corner.

Foto 3. Il cucito era annoverato tra i "lavori donneschi".

Foto 4. Il disegno (di moda) faceva parte dell'educazione
estetica femminile.
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