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INSEGNANTI E PEDAGOGISTI  
   
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Insegnanti e pedagogisti / Condizioni di vita e di lavoro

Quando, dopo l'annessione del Veneto all'Italia, i municipi mettono mano alla riforma dell'istruzione, devono affrontare anche il problema della condizione dei maestri e delle maestre, i cui stipendi sono ritenuti veramente miseri, inadatti per quel minimo di decoro che si richiede al loro ruolo.
Si legge in una relazione:

"…il povero peculio del maestro elementare e la miserrima ricompensa che pur gli si dà, non solamente ne invilisce la condizione, ma reca un'altra conseguenza che si rovescia tutto sugli allievi, ed è che il maestro diviene poca cosa, quand'anche la natura lo abbia fornito d'ingegno svegliato e ciò per una ragione della quale avremmo le prove. L'infelice, al quale voi date lo stipendio annuo di italiane lire 547 e (se diviene maestro di IV classe) di 1050 e le maestre che dallo stipendio di 325 crescendo al maximum di 612, si logorano la vita in altre occupazioni per campare meno sciaguratamente, passano notti intere a copiare manoscritti, danno altre lezioni, si affaticano in modo che il loro cervello ne soffre, e poi messi alle prove riescono disadatti, dacché l'istruzione male compensata è di necessità peggio impartita."
(La Provincia di Venezia e l'istruzione popolare, "Atti dell'istituto Veneto di scienze Lettere e Arti", Tomo XIII, serie III, 1867-68).

Nella sua Relazione alla Giunta municipale di Venezia l'ispettore governativo Guglielmo Berchet sostiene che

"la misera condizione dei maestri e delle maestre comunali reclama un pronto ed efficace provvedimento, accordando la pensione ai maestri anziani e portando gli stipendi al di sopra del minimo fissato per legge. Quando saran ben retribuiti il Comune potrà "esigere da essi un servizio conforme alla nobile loro missione e potrò impedire certi abusi che ora a malincuore debbonsi tollerare". Propone inoltre di affidare, così come già avviene in altre città, le classi inferiori, anche maschili, alle donne, poiché "maggiore pazienza più cura ed amore può dalle medesime ottenersi, e dappoché anche in Venezia si è manifestato quel fenomeno verificatosi ora in tutta Italia che a dismisura aumenta la tendenza nelle giovani allo insegnamento e diminuisce nei giovani."
(Guglielmo Berchet, Condizione generali della Istruzione primaria, Venezia 15 luglio 1867)

La prima Scuola Normale per la formazione dei maestri ha origine in Piemonte e si estende poi alle altre regioni dopo l'Unità. La Legge Casati prevede una Scuola normale triennale, che dopo il biennio rilascia la patente per la scuola elementare inferiore. L'età di ammissione è di 15 anni per le femmine e 16 per i maschi. Tra la fine della scuola elementare e l'inizio del corso normale, i maschi frequentano le scuole tecniche o il ginnasio, le femmine l'ultima classe elementare o, in qualche caso, il ginnasio femminile, fino all'apertura dei corsi preparatori biennali. In seguito il corso preparatorio femminile viene sostituito con la scuola complementare, mentre il maschile viene soppresso e i maschi frequentano la scuola tecnica o il ginnasio. Femmine e maschi dunque, per diventare maestri e maestre, hanno, fino al 1923, percorsi diversi, così come diversa è la loro condizione lavorativa e la loro retribuzione:

nel 1890 lo stipendio dei maestri di grado superiore passa da 1.452 a 1.700, da 1.200 a 1.350 quello delle maestre di pari grado; da 1.200 a 1.400 quello dei maestri di grado inferiore e da 1.000 a 1.100 quello delle maestre.
Nel 1903, in seguito al memoriale presentato dalle associazioni dei maestri per ottenere un aumento dello stipendio, la Giunta comunale approva il seguente Piano organico:

1 direttore generale didattico  Lire 4.600
8 direttori scolastici                  "   2.600
8 direttrici scolastiche               "   2.300
1 direttore della ginnastica        "   1.600
22 maestri di I categoria           "   2.200
16 maestri di II categoria          "   2.000
15 maestri di III categoria         "   1.800
20 maestre di I categoria          "   1.800
30 maestre di II categoria         "   1.600
50 maestre di III categoria        "   1.400
65 di categoria promiscua          "   1.400
45 sottomaestri e sottomaestre  "      800

L'assessore all'Istruzione Federico Pellegrini, legge la relazione alla Giunta con la proposta del nuovo organico ed afferma:
"In quanto allo stipendio, le ragioni, non soltanto di consuetudine ma altresì di convenienza, tramandate e rispettate così nelle leggi dello Stato come nei singoli regolamenti municipali di tutte le città, giustificano una differenza di trattamento tra maestri e maestre; è però doveroso riconoscere che alcuni degli argomenti che si adducono a migliorare le condizioni dei primi, valgono anche per le altre".
Le maestre che insegnano nelle I e II classi maschili hanno col nuovo regolamento lo stesso stipendio dei maestri (categoria promiscua). Viene abolita la categoria delle maestre praticanti, utilizzate come supplenti, per la cui misera retribuzione di Lire 2 per lezione era stato accusato di sfruttamento (Comune di Venezia, Relazione ufficiale, 1903).

Il numero degli alunni continua ad aumentare, il Comune quindi è costretto ad assumere nuovo personale insegnante: nel 1905 sono 28 i posti nuovi, soprattutto maestre, visto che ai concorsi le domande dei maestri scarseggiano. Nello stesso anno lo stipendio delle 65 maestre che insegnano nelle classi maschili è elevato a Lire 1.500.

Nel 1907 gli insegnanti aderenti alla Lega, sezione dell'Unione magistrale, presentano un memoriale nel quale esprimono le loro proposte , sia per l'ordinamento scolastico che per il miglioramento della loro condizione, alcune delle quali sono sottoscritte anche dall'Associazione magistrale Nicolò Tommaseo.
Si chiede tra l'altro: l'abolizione di tutte le categorie degli insegnanti, fissando lo stipendio iniziale a Lire 1.700 per gli uomini e 1.500 per le donne; l'aumento del numero delle sottomaestre; richieste a cui in seguito la Lega aggiunge quella della parificazione del trattamento degli insegnanti con quello degli impiegati comunali.
Il Comune non accetta le proposte, ritenendole troppo onerose. Decide quindi di fissare lo stipendio iniziale a Lire 1.500 sia per le scuole maschili che femminili, ammettendo un massimo di Lire 3.000 per gli insegnanti delle scuole maschili e di Lire 2.700 per le maestre delle scuole femminili. Con questa riforma il Comune ritiene siano migliorate le condizioni economiche dei maestri, e soprattutto quelle delle maestre, ma ciò che rende i maestri veneziani in una posizione invidiabile rispetto ad altri sono i provvedimenti che riguardano la pensione e l'indennità di passato servizio che, accogliendo le richieste dei memoriali, sono parificati a quelli degli impiegati comunali: il diritto alla pensione si acquista dopo 40 anni di servizio, oppure dopo 15 quando si sia raggiunta l'età di 65 o sia sopravvenuta inabilità per malattia o dispensa per soppressione di posto.
(Comune di Venezia, Relazione ufficiale, 1909)

Condizione delle maestre

Per tutto l'Ottocento e oltre la condizione delle maestre è uno degli aspetti della "questione femminile": i loro stipendi sono miseri, le classi numerose e difficili.
Sono soprattutto le maestre rurali a colpire per le loro drammatiche vicissitudini: spesso sole, lontane dalla famiglia, insegnano in locali fatiscenti a multiclassi pesantissime per uno stipendio da fame, subiscono ricatti e molestie di ogni tipo da parte delle autorità comunali e devono affrontare anche l'ostilità della popolazione che le vede come portatrici di stili di vita cittadini corruttrici delle bambine.
Così le descrive Antonio Fradeletto, Presidente della Lega fra gli insegnanti:

Nella storia dell'educazione popolare moderna la vita della maestra rurale è, in verità, uno degli episodi più malinconici: priva di mezzi usuali della cultura, priva dalla forza morale che viene dalle consuetudini amichevoli, sola, indifesa, abbandonata alla mercè di intrighi e di passioni volgari, quotidianamente alle prese con la protervia della zotica scolaresca, fra gente ignara che considera la scuola come un peso intollerabile per lo stremato patrimonio del rustico comune, dibattentesi fra le angustie della povertà e le suggestioni tentatrici del benessere, quante illusioni, quante speranze, quante fedi non si staccheranno prematuramente dall'anima sua!

Questi problemi vengono denunciati al II Congresso dell'educazione femminile che si tiene a Venezia nell'agosto 1901, durante il quale si chiede tra le altre cose la parità di stipendio che consenta di condurre una esistenza dignitosa.
Emilia Mariani, maestra socialista torinese presente al congresso, scrive sul locale giornale socialista "Il Secolo Nuovo" un articolo per contrastare la retorica sulle maestrine difinite da Antonio Fradeletto - nel discorso d'apertura - "gaietto sciame":

Fra le gaie e fiorenti giovinette della città si vedono le povere umili maestre di campagna, curve sotto il grave pondo della loro scuola unica rurale, formata di 70 od 80 bambini, fra cui esse fanno sforzi inauditi per non soccombere. E si riconoscono, malgrado i cenci accomodati con grazia, dai visi patiti, pallidi. Estenuati, dagli occhi spenti nelle occhiaie arrossate per le veglie protratte ad aumentare il piccolo, l'insufficiente stipendio. Lavorando accanto agli umili, testimoni delle loro sofferenze e privazioni, non chiedono molto, soltanto di compiere la loro missione educando e istruendo in modo efficace, avendo adatti locali, discreto numero di alunni, buoni ordinamenti e una condizione che permetta loro di vivere con dignità, spezzando all'occorrenza il pane con quelli che hanno fame.
(E. Mariani, Maestre, "Il Secolo Nuovo", 29 agosto 1901)


 

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