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L'Istituto tecnico industriale di stato
A. PACINOTTI

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La specializzazione in Costruzioni civili e Meccanica

[cz] 
 


L'istituto tecnico di Venezia, titolato nel 1882 a "Paolo Sarpi", era composto dalla sezione Fisico-Matematica, Commercio-Ragioneria e Industriale. Quest'ultimo indirizzo doveva formare il "perito meccanico e costruttore".
L'indirizzo industriale fu l'unica struttura scolastica di Venezia che dalla fine dell'Ottocento fino agli anni Venti del Novecento licenziò studenti col titolo di perito industriale. Più precisamente l'indirizzo era divenuto di perito "Industriale di costruzioni civili e di meccanica".
Questa situazione durò fino al 1923 quando con la riforma Gentile si decise la soppressione della sezione Industriale e di quella Fisico-Matematica e il passaggio di competenza degli Istituti Tecnici dalla Pubblica Istruzione al Ministero dell'Economia Nazionale. Il Sarpi divenne così un istituto ad indirizzo esclusivamente commerciale e cessò la preparazione di periti industriali.

Contro questa scelta si mosse con decisione l'Associazione fra diplomati della sezione Industriale del R. Istituto Tecnico di Venezia (v. foto n. 1) che chiese di ripristinare la Sezione Industriale di costruzioni civili e meccaniche con gli stessi criteri e programmi finora esistenti (v. foto n. 2). La direzione del Sarpi si impegnò invece per sostituire il perduto indirizzo industriale con quello di agrimensore, affermando che le caratteristiche dell'economia locale non giustificano una vera e propria scuola industriale.

Nel febbraio del 1925 l'Associazione fra i diplomati della Sezione Industriale del R. Istituto Tecnico ricordò che fino ad allora la soppressa Sezione Industriale

"abilitava alla professione di Costruttore meccanico, di Capo-tecnico nelle officine meccaniche, d'Assistente ai lavori di costruzioni civili ed industriali e di Disegnatore tecnico ed industriale. E l'insegnamento che si impartiva era tale che i giovani licenziati della Sezione industriale dell'Istituto Tecnico di Venezia, oltre ad avere aperta la via agli studi universitari, avevano a campo della loro attività l'amministrazione delle ferrovie, dei telegrafi, della verificazione dei pesi e misure, gli studi d'ingegneria, le officine di distillazione del gas illuminante, le società per imprese di pubblici e privati lavori, le officine meccaniche, l'arte vetraria e ceramica senza contare i molti intelligenti e bravi geometri del Genio civile, direttori di società tecniche ed industriali, di costruzioni civili stradali e idrauliche".

Poi nel merito della sostituzione dell'indirizzo industriale con quello agrario, scrisse che "non è con dei semplici periti agrimensori che si provvede allo sviluppo dell'agricoltura, dell'industria e del commercio, alla messa in valore di quel progetto colossale che è il nuovo porto e relativo quartiere urbano di Marghera: progetto, che alle industrie, non alle misure, dovrà la eventuale sua affermazione".

L'Associazione dei diplomati lasciò il campo ad una nuova forma organizzata: il Comitato permanente Pro Istruzione Industriale, con sede a S. Croce 2158.
Quest'ultimo interessò nell'Ottobre del 1925 la Camera di Commercio affermando che "Venezia non può restare priva di un Istituto che prepari i sotto-ufficiali dell'industria, oggi specialmente, quando la necessità delle cose la obbliga a ricercare nuove risorse che non le possono venire dal mare non più tutto suo".
Al fondo c'era anche una ostilità verso l'industrialismo, che attraverso le sue forme produttive poteva corrompere il lavoratore. Questa corrente di pensiero che si concretò con l'organizzazione di una infinità di brevi corsi di formazione professionale di basso contenuto tecnico, osteggiava, o quanto meno non vedeva di buon occhio, un istituto tecnico per periti industriali.
Questo modo di pensare prevarrà fino alla Seconda guerra mondiale quando la necessità di avere periti industriali diventerà inderogabile. Un esempio, dove sono condensate le paure della grande industria e esaltate le virtù formative della piccola industria e dell'artigianato, si possono trarre da questo brano scritto da Giuseppe Dell'Oro, direttore dell'Istituto Veneto per il Lavoro.
Scrisse quest'ultimo:

"La piccola industria è eminentemente addestrativa delle capacità tecniche individuali ed emancipatrice del lavoratore. L'operaio che vi si dedica non solo apprende con essa ad eseguire una serie materiale di atti, ma è indotto ad acquisire quella disciplina del lavoro che affina la mente. Le piccole industrie sono quelle che formano al mentalità dell'operaio e riescono ad essere cospicuo serbatoio d'energie per la fortuna delle grandi industrie. (…) L'artigiano che dedica le sue fatiche alla Piccola Industria conserva un'indipendenza che lo pone in una posizione ben superiore al lavoratore della grande officina; egli è estraneo alle insidie politiche, non conosce orari di lusso, scioperi o serrate, soste o disoccupazione".

Questa corrente di pensiero, che esprimeva una Venezia involuta, piegata su se stessa e sulle sue tradizioni produttive, sospettosa della grande industria, nella città ebbe la supremazia per decenni e si impegnò esclusivamente ad "insegnare un mestiere" e non a fornire una istruzione tecnica di grado elevato, e a battersi per avere un Istituto Industriale.

 

Foto 1. Logo dell'Associazione fra diplomati della sezione industriale del Regio Istituto Tecnico di Venezia.

Foto 2. Ordine del giorno del Comitato pro istruzione industriale del 16 ottobre 1925.

 

 

 

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