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[Intervista
a Ettore Aulisio] |
[a cura di rv]
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Intervista a Ettore Aulisio,
maestro e direttore didattico
Raccolta da Rossella Vivante il giorno 11 giugno 2003,
presso l'archivio storico municipale di Venezia.
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DOMANDA: Qual
è stata la tua carriera professionale? |
RISPOSTA: Dopo
la licenza magistrale ho fatto qualche supplenza nelle
scuole elementari e intanto ho preso il diploma di assistente
sociale e, dall'aprile1958 al 31 agosto del 1959, ho lavorato
presso i "Focolari di semilibertà" per
minori nel Lazio e in Lombardia. Dopo il concorso magistrale
sono diventato insegnante di ruolo dal 1 ottobre del 1959
ed ho insegnato a Rio S. Martino, Ca' Emiliani, alla Goldoni
della Giudecca, ad Altobello, alla Toti di Carpendo fino
al 9 settembre 1979. Nel frattempo ho preso il diploma
universitario di Vigilanza scolastica e ho vinto il concorso
di direttore didattico e, dal 10 settembre 1979 fino al
31 agosto 1991, ho svolto la mia attività, con
tale qualifica, a Favaro e alla Battisti di Mestre.
Sono entrato in ruolo con una scarsissima preparazione
didattico-pedagogica ( tre giorni di studio per sostenere
le prove di concorso) ma con alle spalle una discreta
preparazione culturale ed una significativa esperienza
nel campo della pedagogia emendativa; inoltre potevo giovarmi
di una certa tradizione familiare (figlio d'insegnanti
si nasce!). Le prime esperienze didattiche dopo l'assunzione
in ruolo, e quindi alla fine degli anni '50, le svolsi
nel "clima" che si era creato con l'entrata
in vigore dei nuovi programmi d'insegnamento che risentivano
molto del dibattito politico e dei contrasti ideologici
di quegli anni: ero in contatto con un gruppo minoritario
di insegnanti di Venezia e Mestre (Silvio Resto Casagrande,
Vincenzo Casonato, Girolamo Federici, Luigia Rizzo Pagnin,
Alba Finzi Vianello, Vania Chiurlotto, Pino Franzini,
Quintilio Marini, Bruno
Bruni, Giancarlo Ferracina) che aveva assunto una
posizione critica nei confronti dei programmi che, dicevano,"dovevano
essere cambiati" per vari motivi : la religione cattolica
coronamento e fine della scuola elementare, l'inedeguatezza
della concezione del bambino "tutto fantasia",
tutte le attività finalizzate all'espressione scritta
che si rifaceva al modello di lingua italiana manzoniana,
scarso rilievo dato alle attività che miravano
allo sviluppo del pensiero critico. I programmi, secondo
noi non tenevano conto delle trasformazioni economiche
e sociali in atto nella società italiana.
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DOMANDA: So
che negli anni in cui hai insegnato hai usato la tecnica
Freinet e che sono state pubblicate relazioni sui tuoi
lavori.
Vuoi raccontare cos'era la tecnica Freinet ed illustrare
i lavori realizzati e l'evoluzione che questa tecnica
ha avuto negli anni? |
RISPOSTA: Alla fine degli anni '50 venni
a conoscenza delle tecniche Freinet e della loro applicazione
in Italia, attraverso gli inserti didattici della Riforma
della Scuola , gli scritti di Bruno Ciari, e le pubblicazioni
M.C.E. di Tamagnini; altre sollecitazioni vennero dalla
conoscenza delle esperienze di altri colleghi con i
quali ci si ritrovava in sede sindacale (un piccolo
sindacato autonomo, laico, impegnato nella difesa della
scuola di Stato).
Nell'anno scolastico 1960-61 insegnavo a Ca' Emiliani,
una scuola baracca in un villaggio di baracche tra fiumi
gialli e soffocanti della Sic- Edison, con una classe
numerosa e con bambini definiti "problematici":
molti ripetenti, scarsa frequenza, e tanti altri problemi.
Seguendo gli inserti didattici della Riforma della Scuola
applicai, quasi per caso, il metodo globale ottenendo
ottimi risultati dalla maggioranza degli alunni tanto
che, quando erano stanchi e volevano riposarsi, addirittura
si mettevano a scrivere i loro testi "liberi".
Utilizzando quei testi, che erano collegati ad argomenti
trattati in classe o ad esperienze personali, incominciammo
a preparare dei "libretti" con illustrazioni
dei bambini. Sempre in quell'anno e per altri due ebbi
a disposizione un complesso tipografico Freinet di vecchie
ed incerte origini ma di accertate condizioni precarie,
comunque utile per raggiungere certi scopi tra i quali:
stampa di un giornalino con i testi liberi e con le
illustrazioni dei bambini (incisione su linoleum), organizzazione
del lavoro e delle spese,sviluppo del coordinamento
psico-motorio occhio-mano. In seguito eseguimmo anche
dei lavoretti per il direttore, entrato intelligentemente
nel "gioco", preparando delle schede per la
biblioteca di circolo e richiedendo, naturalmente, di
essere retribuiti con libri per la nostra biblioteca.
L'esperienza fatta a Ca' Emiliani: stampa del giornalino,
composizione di vari album con storie di fantasia o
su argomenti di studio, non mirava alla sostituzione
del libro di testo, anche se eravamo molto critici nei
confronti dei testi che avevamo a disposizione che erano
conformisti, superficiali,con una visione magico-superstiziosa
del mondo, presentazione della storia sempre in funzione
dei governanti.
Negli anni'70 vi fu un'evoluzione delle esperienze:
il giornalino di classe, nato con il metodo Freinet,
subì cambiamenti tecnici ma rimase uno strumento
essenziale per l'attività della classe per l'attività
didattica con la pubblicazione di testi liberi e poesie
di bambini, di materiali prodotti nel corso delle ricerche,
soprattutto d'ambiente, di schede guida per le uscite
e le visite didattiche. Di fatto il giornalino divenne
il vero libro di testo (lettura e sussidiario) che continuò
comunque ad essere adottato, perché utilizzato
come riferimento e conferma. Non accettai lo slogan
"aboliamo il libro di testo" anche se in pratica
ero arrivato al superamento.
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DOMANDA: Vorrei
saper qualche cosa sul doposcuola nel Comune di Venezia. |
RISPOSTA: Il doposcuola era gestito
dal Patronato scolastico ed era denominato "Ricreatorio
Comunale". Era rivolto soprattutto ai bambini appartenenti
alle classi sociali economicamente bisognose e non in
grado di fornire adeguata assistenza scolastica.
Alla fine degli anni sessanta la situazione mutò,
almeno parzialmente: il Parlamento, dopo l'istituzione
della scuola materna statale, in sede di bilancio non
considerò più il doposcuola come 'assistenza'
. Da alcuni anni infatti si discuteva sulle proposte
di scuota "full-time" portata avanti in particolare
dalla riviste Scuola e Città, Riforma della Scuota,
dal Sindacato autonomo (laico), dall'ADESSPl.
Nella pratica veneziana cambiò molto poco; nell'autunno
del 1969 mi dimisi dal Consiglio di Amministrazione
del Patronato Scolastico , proprio perché non
si era tenuto conto nei nuovi indirizzi dati dal Parlamento.
La mancanza di aule scolastiche (doppi turni in tutte
le scuole) ed anche la 'riduzione' del numero delle
famiglie 'bisognose' ridimensionò l'importanza
del doposcuola / ricreatorio.
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DOMANDA: Quando
il doposcuola passò alla P.I.? |
RISPOSTA: Dopo l'abolizione del Patronato scolastico
il doposcuola venne gestito direttamente dall'assessorato
alla P.I. (numero limitato di sezioni). Alcuni insegnanti
del doposcuola risentivano del nuovo clima culturale
e nella pratica tentavano di valorizzare l'aspetto formativo
più che quello assistenziale.
La svolta si ebbe dopo l'avvento della Giunta di Sinistra
che cercò di rispondere alte esigenze di 'tempo
prolungato' (Bologna già negli anni '70 faceva
dopo scuola) e non a quelle assistenziali.
Fu assunta una folta schiera di insegnanti per i doposcuola
comunali guidati 'didatticamente' da persone
della scuola, distaccate presso l'Assessorato (Bonini.
Cocco, Ferracina,...).
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DOMANDA: Quale
esperienza diretta hai fatto nel doposcuola? |
RISPOSTA:
La mia esperienza personale è la seguente:
nell'anno scolastico1976/77, alla Scuota Toti vi erano
cinque sezioni di doposcuola per dieci classi; ogni insegnante
seguiva due classi (a giorni alterni) ed erano previsti
momenti di compresenza al mattino. Il doposcuola era frequentato
dalla classe al completo e le attività erano programmate
insieme da insegnanti di classe e del doposcuola.
Ad esempio programmammo insieme lo studio della civiltà
preistorica (costruzione di un villaggio) e la drammatizzazione
di Cipollino di Gianni Rodari.
Le due classi interessate fecero un giornalino intitolato
"Scuola e doposcuola Toti insieme". Fu fatto
anche un film 8 mm "Noi e i primi uomini" che
utilizzò
molto il materiale prodotto nelle ore del doposcuola. |
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DOMANDA: Fino
a che anno durò quest'esperienza? |
RISPOSTA: L'esperienza
durò poco per due motivi: i genitori delle associazioni
cattoliche, temendo che i doposcuola così come
erano stati impostati dalla Giunta di sinistra, fossero
la premessa del tempo pieno, cercarono di ostacolarli
chiedendo al Comune l'istituzione di corsi di ginnastica,
inglese, ecc.;
- l'amministrazione comunale non fornì più
il personale ausiliario necessario al funzionamento dei
doposcuola e, soprattutto, nell'ambito dell'assessorato
alla PI. venivano avanti altre idee (ispirate alle esperienze
di Modena). Nel 1977/78 furono programmate le 'settimane
educative, destinate alle sezioni del doposcuola; nell'anno
seguente iniziarono le prime esperienze degli Itinerari
Educativi (diversi dagli
attuali) sul tema: conoscere la città.
Nel 1978/79 organizzai un'attività di ricerca ambientale
collegata con le prime esperienze degli Itinerari Educativi.
Furono prodotti "La città ha bisogno di energia",
videotape, diapofilm; - "Gli ambienti", filmini
8 mm; diapofilm, giornalini scolastici.
Il personale assunto dal Comune per i doposcuola fu utilizzato
per gli itinerari educativi, la refezione scolastica,
i trasporti scolastici, le segreterie di alcuni
assessori.
Dal 1979 - 80 cessò completamente l'esperienza
dei doposcuola "non assistenziali". |
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