Alba Finzi
<Ho avuto un'esperienza traumatica, nel senso che ero
in classe con i miei compagni e avevo quindici anni; mi hanno
chiamata in segreteria; il Preside mi ha detto: "Devi
prendere i tuoi libri e devi andartene". Ho domandato:
"Subito devo andarmene?" - "sì, sì,
subito, non puoi frequentare perché sei di religione
ebraica". Sono tornata in classe, ho fatto il pacco dei
miei libri, piano per non disturbare, ho salutato soltanto
con un cenno la mia compagna di banco e, piena di vergogna,
sono uscita.
[…]
C'erano anche persone coraggiose: la mia professoressa di
scienze, Pia Martini, ha chiesto di me - era l'ora subito
dopo - prima che io sparissi, e disse: " Ma qui non è
assente!". Allora le mie compagne hanno detto: "
E' stata mandata via perché è ebrea" -
e lei: "Cosa sono queste stupidaggini, si manda via una
ragazza a metà mattina!". E poi ha fatto la sua
lezione. E' l'unico episodio che io abbia avuto di solidarietà
per quello che stava succedendo. Avevano paura, non ho trovato
mai malanimo, ma paura sì. Paura le compagne che prima
salutavano e ora non salutavano più; oppure adulti
che cercavano di rompere i rapporti che avevano con i miei
genitori: episodi molto marginali, non vivevamo in un ambiente
antisemita, ma di persone che potevano sentire questo come
un torto, ma che lo tenevano lontano dei loro pensieri.
[Alla scuola
ebraica] ho trovato dei ragazzi normalissimi; il numero
era molto ridotto, erano classi con pochi alunni e c'erano
anche pluriclassi.
C'erano dei professori di primissima qualità, mandati
via tutti dalle scuole; il preside Levi era stato mio preside
anche nella scuola pubblica (all'Istituto magistrale Tommaseo).
Era un bravo matematico e siccome la matematica mi piaceva,
con lui avevo anche dei colloqui.
Delle lezioni ricordo soprattutto un'indicazione di lettura:
andavo regolarmente alla Biblioteca Marciana perché
avevo scoperto la "Critica" di Benedetto Croce e
lì me la davano. In tutta quell'oppressione, quella
mancanza di libertà, c'erano delle persone che, a vari
livelli, per il loro piccolo potere, potevano permettersi
anche di contrastare il potere vero. Non so come mai c'era
la "Critica" di Croce, io me l'andavo a leggere
e mi lasciavano entrare …io non ho mai detto di essere ebrea,
però l'avranno saputo.
La mia identità si è formata anche in quella
scuola, ma soprattutto dal fatto che mi hanno buttata fuori
dalle scuole (pubbliche).
Sulla mia carta di identità era scritto "apolide",
non era scritto "italiana"; non solo c'era scritto
"razza ebraica", ma c'era scritto anche "apolide":
questo mi ha offesa profondamente.
Testimonianza tratta
da: Carla Callegari, Identità, cultura e formazione
nella Scuola ebraica di Venezia e di Padova negli anni delle
leggi razziali, CLUEP, Padova 2002.
Alba Finzi frequentava,
nel 1937-38, il III anno dell'Istituto magistrale Tommaseo
a Venezia. Per l'anno scolastico 1938-39 si era iscritta nello
stesso Istituto, nonostante i decreti emanati durante l'estate
proibissero agli ebrei di farlo, in quanto appartenente a
famiglia mista. Iniziò perciò la scuola, ma
il secondo giorno venne espulsa. Frequentò la Scuola
superiore ebraica, sostenne l'esame da esterna al Tommaseo
e si diplomò. Nel 1943, per sfuggire alle deportazioni,
lei, la sorella Lia Finzi
e la loro famiglia fuggirono
in Svizzera dove rimasero fino alla fine della guerra. Nel
dopoguerra iniziò a insegnare nella Scuola ebraica
per il recupero scolastico dei bambini tornati dai campi o
dall'esilio. Insegnò in seguito come maestra in varie
scuole veneziane.
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