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"Presidio istituzionale per la questione israelo-palestinese" a Ca' Farsetti

giovedì 11 aprile 2002, resoconto della mattinata

La giornata di oggi, la quarta da lunedì 8 aprile, del “Presidio istituzionale per la questione israelo-palestinese” aperto a Ca’ Farsetti è stata dedicata al ruolo dell’informazione nel conflitto. Al dibattito hanno partecipato la presidente del Consiglio Comunale, Mara Rumiz, il giornalista e direttore della direzione comunale Relazioni esterne e Comunicazione, Guido Moltedo, il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, Maurizio Paglialunga, il giornalista del quotidiano “La Nuova Venezia”, Alberto Vitucci, e, in collegamento telefonico, il segretario nazionale della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), Paolo Serventi Longhi, la corrispondente della “Stampa” da Gerusalemme e autrice del libro ‘L’abbandono, come l’Occidente ha tradito gli ebrei“, Fiamma Nirenstein, il docente di Comunicazione televisiva alle Università di Padova e di Bologna, Fabrizio Tonello. Inoltre sono intervenuti Massimo Costantini, docente di storia economica alle Università di Pescara e di Venezia, e Renata Segre.

Alcuni momenti del dibattito sul ruolo dell'informazione  nel conflitto
Alcuni momenti del dibattito sul ruolo dell'informazione  nel conflitto

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La presidente Mara Rumiz, nell’introdurre il dibattito, ha fatto presente come il presidio istituzionale testimoni dell’attenta partecipazione del Consiglio Comunale di Venezia alla crisi in atto in Medio Oriente. “Il nostro compito, quello dell’Amministrazione comunale, è di garantire una sede di confronto e di approfondimento nella sede municipale, che è la casa di tutti i cittadini. Un approfondimento che vada oltre la contingenza drammatica dei fatti. Questa non vuole essere una sede esaustiva: ci sono in città moltissime altre iniziative, come ad esempio quella dello Iuav, e spero che molte altre ne vengano fatte, soprattutto in direzione di un approfondimento delle ragioni per cercare la pace, e non solo in quell’area.” All’interno del presidio una saletta consiliare è stata predisposta con televisori collegati a canali internazionali in grado di garantire un aggiornamento costante, in tempo reale, sugli sviluppi del conflitto e delle mediazioni diplomatiche. Sono a disposizione, inoltre, alcuni computer per collegarsi via internet a siti istituzionali, di informazione giornalistica, dell’associazionismo; su un tavolo in visione libri sull’argomento, comunicati, rassegne stampa e agenzie. Oltre agli ospiti, ci sono quotidianamente collegamenti telefonici con personalità della cultura, politici, esperti della questione mediorientale. “Questa esperienza – ha concluso la presidente del Consiglio comunale – mi spinge a voler continuare nella direzione di creare occasioni di incontro e di dibattito che ci facciano conoscere l’opinione dei nostri concittadini.”

L’intervento di Fiamma Nirenstein, corrispondente della “Stampa” da Gerusalemme e autrice del libro "L’abbandono, come l’occidente ha tradito gli ebrei“
“Un conflitto – ha sostenuto Fiamma Nirenstein – va capito approfondendo le radici, i motivi che stanno alla base, si devono poi mostrare le ragioni delle due parti senza cadere in pregiudizi da una o dall’altra parte. In generale io credo che gli inviati non conoscano molto bene il Medio Oriente, mentre i corrispondenti sì”. Nirestein ha affermato che le motivazioni di questo conflitto “sono da ricercare anche nel rifiuto di Arafat di firmare l’accordo nel dicembre 2001, perché non era in grado di far accettare ai palestinesi il riconoscimento dello Stato di Israele. Uscito dal tavolo delle trattative Arafat ha fatto il segno della vittoria, mentre Barak s’è mostrato in lacrime”.
La giornalista ha sostenuto inoltre che l’attenzione dei mezzi di comunicazione è poco puntata sul terrorismo suicida, che ha provocato solo nel mese di marzo 680 feriti e 180 morti in un paese di 5 milioni di abitanti. “Gli italiani - ha continuato Nirestein - il popolo di sinistra, i cattolici sono portati a sentire di più i problemi della povertà in un paese occupato, anche se governato da un dittatore qual è Arafat. Io spero che i palestinesi possano avere uno Stato palestinese, devono esserci due Stati per le due etnie che vanno riconosciute, ma questo i palestinesi hanno difficoltà ad accettarlo. In televisione si vedono le immagini dei carri armati israeliani, ma non quelle dei corpi straziati delle vittime del terrorismo, perché gli israeliani non consentono alle televisioni di avvicinarsi ai luoghi degli attentati.” La giornalista ha rilevato che in Palestina, negli ultimi tempi, le posizioni terroristiche si sono molto allargate “coinvolgendo anche quei movimenti fino a poco tempo fa contrari, anche organizzazioni vicine ad Arafat”.

L’intervento di Maurizio Paglialunga, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto
Riprendendo l’intervento di Fiamma Nirenstein, che ha posto la questione sull’equilibrio tra cronaca e analisi storico-giornalistica, Paglialunga ha sostenuto che “un giornalista ha il dovere e il diritto di informare e per farlo deve recarsi direttamente sui luoghi dove avvengono i fatti. Chi impedisce che questo avvenga non vuole che si testimoni la verità: ciò vale per entrambe le parti, per Arafat che ha sbattuto giù il telefono a una giornalista che insisteva a porre la domanda scomoda sul perché non fermava il terrorismo e per Sharon che impedisce ai giornalisti di recarsi nei territori occupati.” Seppur convenendo che si debba indagare sulle radici di un conflitto, Paglialunga ritiene che, davanti all’urgenza della cronaca, non si possa in ogni articolo partire dall’analisi storica delle origini e come la storia venga invocata per essere adattata alle ragioni di parte. “Dopo la guerra del Vietnam gli americani si sono resi conto che avere giornalisti sul campo a testimoniare ciò che accadeva poteva essere destabilizzante per l’establishment e quindi nei conflitti degli ultimi anni sempre più c’è stata la tendenza a gestire direttamente l’informazione. Si aggiungono così agli ostacoli insiti nel lavorare in zone di guerra gli ostacoli che vengono frapposti dai politici, e questo accresce il pericolo in cui si trovano ad operare gli inviati” “Credo - ha concluso Paglialunga – che ogni conflitto possa essere risolto con l’uso della diplomazia, come è stato per quello franco-tedesco (che ha portato a due guerre mondiali e a milioni di morti), così si può intervenire qui con una forza di interposizione che interrompa la guerra. C’è una componente in entrambi i campi che lavora contro la pace: l’estremista che ha ucciso Rabin, chi spinge il popolo palestinese, che non era un popolo di orientamento islamico, verso il fondamentalismo”. Paglialunga ha infine esortato tutti, e i giovani in particolare, a “non accontentarsi mai delle verità ufficiali e delle analisi a volte superficiali dei giornali ma di scavare sempre in profondità”.

L’intervento di Alberto Vitucci, giornalista del quotidiano “La Nuova Venezia“
In questi giorni- ha detto Vitucci – si assiste a una deriva culturale in cui le parole vengono interpretate in maniera a volte distorta. Bisogna provare a non ragionare per schemi: non giustificare la violenza perché in risposta ad altra violenza. Seppure sia più comodo ragionare per schemi, il dovere di un giornalista è di raccontare ciò che vede: l’interpretazione va distinta dal fatto di cronaca. La violenza può essere fatta anche con le parole, bisogna quindi cercare di capire quello che l’altro vuole dire”. Per quanto riguarda il rapporto tra cronaca e analisi anche Vitucci ritiene che non si possa ogni volta partire dalle radici quando si parla dell’attualità dei fatti. Vitucci si è detto poi dispiaciuto per la decisione di alcuni membri della comunità ebraica di non intervenire ai dibattiti organizzati dal Comune di Venezia, “confondendo l’opposizione alla politica di Sharon con una posizione antisemita. Se Sharon ha portato i carri armati in Palestina è mio dovere di giornalista far vedere quello che succede. Confondere – ha concluso Vitucci – le religioni con i popoli con i governi porta nel baratro.”

L’intervento di Paolo Serventi Longhi, segretario nazionale della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) Sempre sul rapporto tra cronaca e analisi Paolo Serventi Longhi ritiene che “per quanto riguarda la cronaca sia stata scritta una pagina molto bella, a volte eroica, del giornalismo” e che “la stampa stia dando un quadro sufficientemente preciso di quanto sta accadendo, anche a costo di rischi enormi: alcuni giornalisti sono stati feriti o uccisi, altri sono stati fermati, minacciati, intimoriti”, ma ritiene anche che “conoscere la storia sia fondamentale per capire la situazione attuale, perché il prevalere della cronaca sull’analisi porta a schieramenti”.

L’intervento di Fabrizio Tonello, docente di Comunicazione televisiva alle Università di Padova e di Bologna
Fabrizio Tonello ha messo in risalto l’idea che sta alla base dell’antisemitismo: quella che ci sia una ‘specialità’ una ‘unicità’ per gli ebrei, che sarebbero comunque differenti ovunque vivano, quale sia la loro professione. “Oggi, a cinquant’anni dalla nascita dello Stato di Israele, chi rifiuta di condannare la politica di Sharon – che da sempre è stato contro il processo di pace - con ragioni morali ed etiche rispettabili, parte dallo stesso presupposto e cioè che Israele non sarebbe uno Stato come gli altri, ma uno Stato al di sopra, extra-politico ed extra-giuridico, al di fuori della comunità internazionale. Uno Stato che può non applicare le risoluzioni dell’Onu, applicate in altri paesi al costo di bombardamenti e operazioni di polizia collettiva. Con la conseguenza di riprodurre un cliché orribile, inaccettabile, della ‘diversità’ ebraica.”

L’intervento di Massimo Costantini, docente di storia economica alle Università di Pescara e di Venezia
Massimo Costantini ha ricordato come spesso si tenda a fare un uso strumentale della storia a fini politici stravolgendone il significato, così negli ultimi anni è in corso una tendenza ‘revisionista’ che arriva a negare che siano esistite le camere a gas nei campi di sterminio nazista. “Il fatto – ha detto Costantini – che proprio gli eredi di quelle forze politiche che hanno compiuto quegli atti appoggino oggi la politica israeliana fa capire dove poggia l’antisemitismo. Per capire dove stia la ragione – ha sostenuto Costantini – bisogna andare a vedere la risoluzione Onu 242, che non viene applicata”. Costantini ha ricordato quindi che già prima del ’48 (anno della fondazione dello Stato di Israele) il terrorismo era attivo contro i britannici, che avevano mire colonialiste nell’area: “terrorismo è diventata una parola potente, da usare con attenzione”. Il docente si è detto “molto grato al giornalismo, che rende un servizio fondamentale di informazione pubblica anche a rischio della vita”.

Intervento di Renata Segre
Renata Segre più che un intervento compiuto ha voluto porre alcuni punti di riflessione rispetto a quanto detto in precedenza:
- replicando alla giornalista della “Stampa” Fiamma Nirenstein, ha sostenuto che “Israele non è, e non deve diventare la patria degli ebrei. Israele ha sempre considerato con orgoglio la presenza di arabi, cristiani, drusi tra i propri cittadini, cittadini che fanno anche parte dell’esercito israeliano”.
- Seppur d’accordo sul fatto che le colonie vadano ritirate dai territori palestinesi, ha espresso la speranza che le colonie possano vivere dentro lo Stato palestinese, in un processo di integrazione.
- A proposito di antisemitismo ribadendo che l’antisemitismo non va confuso con la critica allo Stato di Israele, ha ricordato come questo è sempre stato presente dentro la Chiesa cattolica, così come è presente nella società italiana, e che solo il Papa attuale ha riconosciuto ciò e ha operato per cercare di colmare questa distanza.
- Ha ricordato come le elezioni che hanno portato alla vittoria di Sharon siano state condizionate dagli attacchi terroristici, attacchi pensati e voluti perché Barak non vincesse.
- Ha chiesto poi ai rappresentanti della stampa di essere precisi nell’informazione e nell’uso delle parole: così ‘soldato israeliano’ diventa spesso ‘cecchino’. Ponendo anche l’accento sull’uso strumentale di certe immagini, ripetute di continuo senza essere datate, creando così l’impressione che siano attuali.

L’intervento di Giorgio Suppiej, consigliere comunale Ccd-Ppe Il consigliere comunale Giorgio Suppiej, che partirà sabato per Israele così come la presidente Mara Rumiz, ha rilevato come durante i conflitti e le guerre “da sempre l’uomo abbia cercato di utilizzare fatti e notizie a sostegno della propria tesi” e come, “in un mondo in cui l’informazione è ormai a livello globale, ciò formi un orientamento critico che porta ad un orientamento politico che determina poi le scelte a livello istituzionale”. In tale contesto è quindi fondamentale che “i cittadini riescano ad avere un’informazione oggettiva” anche nell’uso delle immagini, che possono facilmente venire strumentalizzate. Giorgio Suppiej ha sottolineato l’impegno del Comune di Venezia nel fornire strumenti per una conoscenza critica e ha concluso auspicando che “queste informazioni siano utilizzate come strumenti di pace”.


Venezia, 11 aprile 2002


Resoconto del 10 aprile 2002

Resoconto del 9 aprile 2002

Appuntamenti del 12 aprile 2002

La questione medioriente: siti informativi
Persecuzioni e le lotte dei popoli: bibliografia