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[Intervista
al maestro Angelo Grimaldo] |
[a cura di Silvano Cremasco]
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Intervista scritta rilasciata dal Maestro Angelo
Grimaldo al dott. Silvano Cremasco
il 24 aprile 2001
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DOMANDA: La
sua formazione e prima attività di maestro coincidono
con il dopoguerra, la fine del fascismo, la proclamazione
della repubblica ed i primi governi democristiani. Cosa
ricorda di quegli anni da punto di vista della didattica?
Ha notato qualche differenza tra il prima fascista ed
il dopo repubblicano? Quanto ha contribuito l’inerzia
burocratico/amministrativa/ didattica nella scuola post-fascista
repubblicana? Il concetto “democrazia” era estremamente
giovane è stato subito recepito nei programmi ministeriali
e diffuso a livello scolastico o ha tardato a farsi strada
in ragione di mentalità ed impianti pedagogici acquisiti
in periodo fascista e comunque difficili da abbandonare? |
RISPOSTA: La
mia formazione scolastica, parzialmente autodidattica,
è avvenuta negli ultimi anni del fascismo e durante la
guerra. Nel dopoguerra ero ancor troppo giovane per poter
istituire paralleli se non teorici con l'epoca precedente,
anche se sentivo sempre mio padre, contrario al fascismo
fin dalla prima ora (il che gli fu d'ostacolo nella carriera)
lamentare con me continuamente l'imposizione autoritaria
di norme e contenuti illiberali.Certamente la scuola,
sempre lenta ad adeguarsi alle riforme cadute dall'alto,
anche nel dopoguerra continuava per inerzia ad usare metodi
tradizionali, tanto che i programmi postfascisti del 1945
(ispirati a un pragmatismo di ispirazione americana) furono
appena avvertiti.E quando furono adottati i nuovi programmi
del 1955, si disse che gli insegnanti non si erano ancor
accorti che di quelli che li avevano preceduti dieci anni
prima. Nella prassi si continuava a seguire il solco della
tradizione, nè le autorità scolastiche spendevano molto
per cambiare i metodi pedagogici. Soltanto dopo il 1955
i programmi, più vicini alla mentalità degli insegnanti,
cominciarono gradatamente ad entrare nella pratica scolastica
che ne recepiva i nuovi contenuti ed istanze. |
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DOMANDA: Sono
in possesso del suo registro di classe dell’anno 1955,
dal quale risultano i suoi sforzi e tutto il suo impegno
per coinvolgere i “suoi ragazzi” nella lettura. Tra l’altro
Lei organizzava gare di lettura a squadre con un sistema
di punteggio (promozione o arretramento) molto simile
a quello del campionato di calcio. I ragazzi dovevano
esserne veramente coinvolti. L’idea di tali gare era sua
personale o era suggerita da dalla Direzione didattica?
Le risulta che altri soui colleghi facessero altrettanto?Sempre
nell’anno 1955 Lei ha intitolato un quaderno “Fatti ed
idee”,nel quale i suoi allievi potevano liberamente descrivere
fatti, esperienze, pensieri e situazioni vissute in prima
persona o sentite dalla bocca di terzi o dalla radio.
Poi, Lei periodicamente correggera e commentava gli scritti
in presenza del loro autore e spesso su determinate problematiche
narrate o vissute nasceva un dibattito che coinvolgeva
tutta la classe. Quale importanza dava a questi dibattiti
ai fini didattico pedagogici? Ha ancora con sé qualcuno
di tali quaderni? Questa sua iniziativa era condivisa
anche da altri insegnanti o è rimasta un’attivita sua
peculiare?Lei ha sempre cercato di dare qualcosa di più
che la semplice alfabetizzazione (i quaderni di libera
composizione, gare di lettura e un libro mastro dove i
ragazzi annotavano entrate ed uscite). I suoi metodi didattico
pedagogici hanno avuto una qualche diffusione tra i suoi
colleghi e la direzione didattica ne ha recepito la bontà
e la valenza didattica? Ha avuto qualche riconoscimento
per quanto ha fatto e sperimentato in campo didattico?
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RISPOSTA: Negli anni 50 i direttori
didattici avevano scarse occasioni di indire riunioni
didattiche di aggiornamento essendo oberati di circoli
amplissimi comprendenti centinaia di insegnanti e scuole
sparse in vast territorio. Nella scuola dove insegnavo
io il direttore si vedeva poche volte all'anno, in genere
per le famose "visite didattiche" finalizzate all'assegnazione
della qualifica annuale all'insegnante, e aveva quindi
scarso modo di incidere sull'andamento didattico e metodoligico
delle singole classi.
D'altra parte c'era pure scarsa comunicazione anche
fra colleghi d'uno stesso plesso su questioni didattiche.
Anzi ben spesso ognuno era geloso dei suoi metodi. Non
ricordo più di quale accorgimento didattico si trattasse,
ma ricordo bene la meraviglia di una collega per avermi
sentito far parte ad altri della mia idea, come a me
sembrava naturale.
In quei primi anni Cinquanta pensai e sperimentai alcuni
accorgimenti che ebbero un qualche successo. Ricordo
che il direttore notò un plastico dell'Italia eseguito
tutto con la carta leggera da pane accartocciata come
si fa per le montagna del presepio. L'illustrazione
collettiva di una poesia, una ricerca geografico-storico-naturalistica
sul paese, una su Venezia nel Cinquecento, una raccolta
di erbe e fiori della campagna circostante mi valsero
alcune lettere di compiacimento da parte dell'ispettore
scolastico che aveva scoperto le mie attività. Non erano
grandi invenzioni, ma mi appassionavano nel lavoro:
non sopportavo si scadesse nella routine e mi accorgevo
che interessavo vivamente i miei scolari. Partecipavo
e coordinavo le "Feste del Patronato scolastico", coinvolgendo
anche qualche altra classe oltre la mia. Un dialogo
fra alunni che scrissi per illustrare i vari aspetti
del nostro Comune, fu recitato in una trasmissione di
"Radio per le scuole".
Solo negli anni Sessanta, mentre una nuova mentalità
e cultura pedagogica lentamente si andavano affermando
ebbi la soddisfazione di poter lavorare, almeno in certi
settori, con altri colleghi e talvolta a coinvolgere
il plesso scolastico. A Zelarino i genitori mi conoscevano
come "il maestro del teatro" per la maggior visibilità
esterna di questa mia attività.
Ho sempre lavorato soprattutto per la mia soddisfazione
personale senza esibizionismi e non ho mai pensato di
meritare riconoscimenti particolari, tranne la stima
dei colleghi e degli allievi.
Del resto è questa la prima volta che, sollecitato,
parlo di tutto ciò. Il primo direttore che ebbi usava
dire che per fare un buon maestro occorrevano dieci
anni di esperienza. Quando dopo sedici anni lasciai
l'insegnamento per passare alla direzione, lo feci con
qualche rimpianto.
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DOMANDA: Nei
due volumi intitolati “Gli usi e i costumi del nostro
paese”, è preponderante la presenza della cultura cattolica.
Nel suo registro di classe Lei riferisce di due visite
annuali da parte di Mons. Barbiero e di un sacerdote che
è venuto almeno una volta a scuola per attività integrative.
Quale era il peso della Chiesa nell’attività didattica? |
RISPOSTA: Allora
la cultura cattolica era ben presente, anzi preminente
nell'insegnamento. Gli stessi programmi del 55 ponevano
la religione a "fondamento e coronamento dell'opera educativa".
E del resto la cultura era in quell'epoca, specie nei
paesi di campagna, fortemente connotata di religiosità.
Anche nel corpo insegnante erano ben pochi quelli che
erano personalmente dissenzienti.
In ogni terza, quarta e quinta un sacerdote aveva
l'incarico di tenere 20 ore annuali di lezioni integrative
di religione e in genere ci teneva a coprirle. Il parroco
era ispettore di religione e aveva il diritto di compiere
un'ispezione annuale al maestro. Tutto in genere si
svolgeva amichevolmente, almeno a quanto mi risulta
nella nostra zona.
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DOMANDA: La
figura del maestro di allora era carica di funzioni che
esigevano un certo impegno, ad esempio: la capacità di
mediare tra scuola e famiglia quando i ragazzi invece
che venire a scuola erano dirottati nel mondo del lavoro
per far fronte a problemi legati a situazioni di miseria
e di bisogno di reddito. Era sempre così o qualche volta
la voglia di profittare dell’incipiente boom economico
faceva mettere da parte gli studi come qualcosa di inutile
rispetto alle opportunità di arricchire presto e in fretta? |
RISPOSTA: Il rapporto tra la scuola e la famiglia
non era allora istituzionalizzato, ma esisteva allora
ugualmente e generalmente con gran rispetto da parte
di qust'ultima verso gli insegnanti. Erano soprattutto
le mamme che venivano ad informarsi sul comportamento
e sui risultati dei loro figli. Già la frequenza
era pressochè totale, e sporadici erano i casi
di ragazzi che, non controllati dalle famiglie, marinavano
la scuola e magari vagabondavano per le strade. In questi
casi di famiglie disastrate era difficile intervenire
e inutile diffidare. I primi anni Cinquanta nella zona
il boom economico faceva appena i primi passi ma non
aveva conseguenze sulla scuola.
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DOMANDA:
I patronati scolastici, sempre a corto di mezzi, arrivavano
spesso in ritardo a distribuire i loro sussidi ed il loro
sostegno alle famiglie. A quali criteri era ispirato il
loro intervento? Potevano svolgere unazione efficace? |
RISPOSTA:
L'opera del Patronato scolastico alleviava la spesa per
la scuola delle famiglie più povere fornendo testi
e materiale di cancelleria. Accadeva talvolta che famiglie
povere ma ben conscie dell'utilità e dell'importanza
dell'istruzione non attendessero l'aiuto, spesso un pò
tardivo del Patronato, e provvedessero all'acquisto dei
testi scolastici (magari il solo sussidiario) fin dai
primi giorni di scuola perchè i figli non "rimanessero
indietro". Il Patronato indiceva annualmente una
manifestazione per sollecitare la popolazione a concorrere
a coprire le spese della sua attività, che il Comune
sosteneva in misura non sempre adeguata. E la scuola partecipava
attivamente alla riuscita della particolare "giornata".
Era una delle poche occasioni di collaborazione effettiva
fra le classi del plesso. |
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