| Fra le carte del mio archivio ho trovato anche questo biglietto 
                    manoscritto e non datato di cui pure non ho alcuna memoria: "Caro Cesco, Fà in modo di consegnare al più presto il "questionario" 
                    per gli esami - se questi ultimi sono possibili.
 Vorrei vederti: stabilisci un appuntamento attraverso Gastone 
                    di sera, verso le 21.30 dalle mie parti.
 Raccogli notizie e fidati di Gastone.
 Arrivederci tuo B."
 La scrittura è inconfondibilmente quella 
                    di Turcato: la sigla "B." significa Bepi (Giuseppe, 
                    in veneziano) che è appunto il suo nome (che mi era 
                    noto nell'originale, visto che abitava vicino a casa mia, 
                    ma che nella Resistenza è "Marco"). Non comprendo 
                    in alcun modo il significato del testo: per essere in cifra, 
                    dunque, arguisco che deve essere un biglietto recapitatomi 
                    durante la Resistenza (suppongo fine '44-inizio '45, ma potrebbe 
                    anche essere fine '43-inizio '44) e conservato - chissà 
                    perché o come - contro le regole stesse della clandestinità.[…]
 Io ho visto Turcato, per la prima volta, una sera dell'autunno 
                    1943 a S. Elena, in casa di Mario Marcè, uno studente 
                    di medicina. Con Marcé, Livio Maitan, Mario Ferrari 
                    Bravo, Marco Stringari (1), studente di chimica, e qualche 
                    altro eravamo un gruppo, quasi tutti studenti di liceo o universitari, 
                    vicini di casa, diventati antifascisti praticamente nel 1941-42 
                    e qualcuno forse anche prima. Ci conoscevamo tutti, fin da 
                    bambini avevamo giocato insieme, ci si era parlati con naturalezza 
                    - durante la guerra - e ci si era ritrovati tutti critici 
                    della monarchia e del fascismo e insieme abbiamo distribuito 
                    i primi manifestini antifascisti nella primavera del 1942 
                    (o forse anche prima) a S. Elena e a Castello, in Paludo, 
                    in Secco Marina (dove ora abito) e in via Garibaldi, manifestini 
                    stampati con il ciclostile nella sede del fascio di S. Elena 
                    di cui era segretario un alto funzionario del Comune, mutilato 
                    di guerra, che ci conosceva tutti benissimo e che abitava 
                    sotto l'appartamento di Maitan. Ciascuno di noi era arrivato 
                    a questo incontro - non più solo di scambio di idee 
                    ma anche di attività pratica - avendo maturato esperienza 
                    e letture ognuno nell'ambito della propria piccola rete relazionale 
                    di casa-scuola-amicizie.
 In casa io avevo sentito, da mio padre, solo 
                    dei mugugni contro il fascismo cresciuti di tono quando gli 
                    avevano ridotto lo stipendio da impiegato statale e niente 
                    di più, per cui rivelatrici e fulminanti mi furono 
                    le parole pronunciate dall'irato professore di storia e filosofia 
                    al Liceo scientifico di Venezia 'Benedetti', Sandro 
                    Gallo, una mattina della primavera del 1940 in 1° B di 
                    fronte a degli esterrefatti studenti: "Voi giovani, impacchettati 
                    di civiltà moderna, di re imperatori e di duci, fate 
                    le manifestazioni per la guerra e io vi frego". Ci interrogò 
                    tutti e ci diede un tre o un quattro. Era accaduto che quella mattina, con gli studenti delle altre 
                    scuole, avevamo fatto una dimostrazione per le calli e i campi 
                    di Venezia chiedendo l'intervento in guerra dell'Italia e 
                    rientrammo nella tarda mattinata quando toccava proprio l'ora 
                    della lezione di Gallo che - già militante comunista 
                    dal finire degli anni trenta e che morirà da partigiano, 
                    comandante della Calvi, combattendo contro i tedeschi il 20 
                    settembre 1944 a Lozzo di Cadore - investendoci in quel modo 
                    aggressivo ci mise di colpo di fronte alla nostra responsabilità, 
                    dandoci così una lezione di vita e di politica e, paradossalmente, 
                    tanto suadente che nessuno lo denunciò. Io rammento 
                    il carattere pregnante delle sue lezioni, soprattutto di storia, 
                    per la continua spinta a riflettere criticamente sull'ieri 
                    e soprattutto sull'oggi cui si aggiungono quelle di Giuliano 
                    Pradella (2) e, dall'autunno del 1942, quelle di Francesco 
                    Semi (3), altro professore risolutamente antifascista: per 
                    dire che è stato proprio Gallo il primo ad iniziarmi 
                    alla scoperta delle ragioni per diventare antifascista e che 
                    al Benedetti ho trovato una vera e propria scuola di antifascismo.
 Per dire ancora del clima culturale in cui 
                    cominciavamo ad affilare le nostre armi, cito un opuscolo 
                    che ho ritrovato catalogando il mio archivio: si tratta di 
                    una pubblicazione edita dal Guf di Venezia e intitolata "Le 
                    nostre mattinate", senza data, ma che per varie ragioni 
                    colloco nel 1942. Si trattava di mattinate domenicali organizzate appunto dal 
                    Guf al cinema S. Marco in cui veniva proiettata una serie 
                    di film francesi - Il bandito della Casbah e Carnet 
                    du bal di Duvivier, il Milione di René Clair 
                    e altri del genere - che indubbiamente, se non erano della 
                    taglia del successivo cinema dell'epoca del Fronte popolare, 
                    apparivano tuttavia come almeno una sorta di fronda antifascista, 
                    comunque un non allineamento: anche per questo - immagino 
                    - c'era la ressa per entrare in sala. In questo opuscolo ci 
                    sono le recensioni di questi film scritte da alcuni di quelli 
                    che poi sarebbero stati nella Resistenza o che erano già 
                    antifascisti - Gian Mario Vianello e appunto Giuliano Pradella 
                    - o altri che comunque non erano allineati come Mario Orsoni 
                    e Alvise Zorzi: in altri termini, si era tra "Il Bò" 
                    di Eugenio Curiel a Padova e il futuro circolo del cinema 
                    Pasinetti a Venezia.
 I miei incontri con i giovani di S. Elena avevano, 
                    dunque, questo retroterra e con loro comincia la mia attività 
                    pratica. Oggi sembra niente di straordinario diffondere dei 
                    volantini, ma allora ci sembrava - e lo era effettivamente 
                    - un'impresa: presupponeva una scelta individuale di azione, 
                    un autocontrollo nell'esecuzione e un difficile segreto da 
                    mantenere con gli altri, dalla famiglia ai compagni di scuola 
                    e agli amici, oltre che risolvere i non semplici problemi 
                    pratici del reperimento della carta, della scrittura dei testi, 
                    della stampa con il ciclostile.Questo gruppo di giovani si allargò dopo l'8 settembre. 
                    Qualcuno aveva i contatti con il Cln, o con qualche suo rappresentante, 
                    su iniziativa del quale fu organizzata la nostra prima azione 
                    - a parte la diffusione di volantini diventata ormai un'abitudine 
                    - con la partecipazione, il 9 novembre 1943, all'inaugurazione 
                    dell'anno accademico a Padova. Un'esperienza indelebile: 
                    partimmo per tempo con la Veneta, arrivati a Padova andammo 
                    subito al Bo' ed entrammo in quell'aula magna che mi colpì 
                    per il disegno labirintico nelle pareti. I docenti presero 
                    posto e quando entrò il ministro Biggini con il codazzo 
                    in divisa fascista si levò una potente fischiata e 
                    un urlo assordante di "fuori, fuori".
 Non stavamo nella pelle a fischiare e urlare, a lungo. Eravamo 
                    troppi perché i fascisti, per quanto numerosi, potessero 
                    fare qualcosa e subirono in silenzio: solo uno di loro si 
                    alzò, andò al microfono del podio al centro 
                    dell'aula e tentò con un "andate ad arruolarvi".
 Si alzò allora Marchesi - aveva addosso la toga o qualcosa 
                    di simile (ricordo un orlo bianco) - si avvicinò al 
                    podio, strattonò il fascista per un braccio e gli disse 
                    nell'improvviso silenzio dell'aula che ne rimbombò: 
                    "Questo è il mio posto". Una tempesta di 
                    applausi. E cominciò il suo discorso che si concluse 
                    con quell'entusiasmante - per me, allora - dichiarazione di 
                    inaugurazione del 722° anno accademico "in nome di 
                    questa Italia dei lavoratori, degli artisti, degli scienziati".
 A rileggere oggi quel discorso, nelle pagine 
                    del volume dei suoi scritti, si rimane un po' delusi per quel 
                    tono classicheggiante e quella certa magniloquenza con cui 
                    invocava "lo spirito della salvazione" - propri 
                    dell'Università del tempo e del personaggio che, peraltro, 
                    al Liviano aveva fatto non a caso i suoi ultimi corsi su Tacito, 
                    "massimo storico del principato", per incoraggiare 
                    quell'"odium adversus dominantis" che, come scriveva 
                    lo stesso Tacito, era lo spirito chiarificatore e animatore 
                    della verità storica - ma resta di lui incancellabile 
                    quell'appello agli studenti "traditi dalla frode, dalla 
                    violenza, dalla ignavia, dalla servilità criminosa" 
                    a "rifare la storia dell'Italia e costituire il popolo 
                    italiano" insieme alla "gioventù operaia 
                    e contadina", quando a fine novembre presentò 
                    le dimissioni da rettore e si mise in clandestinità. 
                    Appello che, stampato in volantino anche a Venezia dal Cln 
                    - ne conservo in archivio una copia autentica - abbiamo poi 
                    diffuso per tutta la città. Ritornai qualche settimana dopo, a Padova, 
                    inviato dal nostro gruppo, e con appuntamento prestabilito, 
                    a prendere dalle mani di Egidio Meneghetti, all'Istituto di 
                    farmacologia, un bottiglietta con dentro del fosforo giallo 
                    che ci doveva servire per dare fuoco a qualche ufficio del 
                    distretto militare, ma che, rovesciatone per prova una particella 
                    nel lavandino a casa di Marcé, non fece la vampata 
                    mandando così per aria i nostri piani (forse Meneghetti 
                    non si era fidato o chissà cos'altro): ricordo tuttora 
                    quel viaggio clandestino, ancora con la "Veneta", 
                    con la bottiglietta in tasca, ché sembrava che tutti 
                    mi guardassero nel momento stesso in cui sentivo una certa 
                    (ingenua) fierezza per l'incarico che stavo svolgendo.E in questa contesto, dunque, che ho conosciuto Turcato: durante 
                    una riunione del nostro gruppo a cui partecipava anche lui. 
                    Finito l'incontro, uscimmo insieme o - più tardi ne 
                    ebbi il 'sospetto' - scelse lui di uscire con me. Ormai sapevo 
                    che era antifascista e saprò presto che era anche comunista. 
                    Mi colpì il suo modo di guardare/fissare l'interlocutore 
                    quasi a perforarlo, tanto il suo sguardo era penetrante e 
                    indagatore: ebbi da subito, netta, l'impressione che poco 
                    gli potesse sfuggire e che il rapporto con lui doveva essere 
                    a tutto campo e cristallino. Non mi chiese direttamente di 
                    fare qualcosa, ma ci intendemmo rapidamente sul fare. Parlò 
                    a lungo con me di politica e di antifascismo 'concreto' e 
                    in breve tempo, nell' attività poi iniziata con lui, 
                    avvertii subito la differenza nella mancanza di enfasi, nella 
                    chiarezza politica degli obiettivi, nella ricerca dell'unità 
                    operativa, nella priorità dell'azione concreta rispetto 
                    a tutti, o quasi tutti, i rappresentanti degli altri partiti 
                    che avevo conosciuto in varie occasioni, per esempio nella 
                    correzione delle bozze, nella stampa (in una tipografia in 
                    campiello del Sol, a S. Polo) e poi nella diffusione di "Fratelli 
                    d'Italia", il giornaletto clandestino del Cln. Non voglio 
                    togliere nulla all'impegno degli altri antifascisti, ma in 
                    Turcato ravvisai, sotto molteplici aspetti, quel modo d'essere 
                    di antifascista militante che in nessun caso desiste e che 
                    io pensavo essenziale.
 […]
 Io ho imparato da lui le severe regole della clandestinità 
                    e in modo tale che ne risento tuttora nel mio comportamento 
                    - il rifiuto della chiacchiera, la discrezione assoluta, la 
                    precisione nel proprio lavoro, l'attuazione inderogabile dell'impegno 
                    preso, il rispetto e la fiducia dell'altro (se arrivavi un 
                    minuto dopo all'appuntamento potevi creargli un pericolo insieme 
                    alla certezza che l'altro faceva altrettanto), la predisposizione 
                    delle vie di scampo (cioè la valutazione preventiva 
                    delle varie possibilità) - tanto che nessuno di noi, 
                    dopo la costituzione della nostra formazione, fu mai arrestato, 
                    mentre tanti altri cadevano nella rete, proprio a causa della 
                    faciloneria, dell'insicurezza reciproca, del non rispetto 
                    delle regole, come era capitato anche a me, prima che imparassi 
                    sino in fondo da Turcato come muovermi nella clandestinità, 
                    il 10 aprile del 1944 quando sono stato arrestato per la spiata 
                    di un provocatore (4) riuscito a infiltrarsi nel nostro gruppo 
                    di studenti. Praticamente io ho iniziato a lavorare in clandestinità 
                    con Turcato, se ricordo bene, nel gennaio 1944 senza scollegarmi 
                    dagli studenti ma già il 6 marzo - ricordo perfettamente 
                    la data, per il significato che ebbe per me - gli chiesi di 
                    entrare nel Pci, quando ormai tutta la mia attività 
                    si svolgeva già con lui. Poi con l'arresto ho pagato 
                    il pregresso, ma sei mesi dopo, quando uscii dal carcere, 
                    nonostante fossi certamente segnalato (condannato a due anni 
                    dal tribunale speciale), riuscii a non destare mai il minimo 
                    sospetto.
  (1) Marco Stringari morirà 
                    combattendo, da partigiano della Brigata 'Sette Comuni', nei 
                    pressi di Mezzaselva, nell'altipiano di Asiago, nella notte 
                    fra il 5 e 6 aprile 1945, a pochi giorni dalla liberazione.(2) G. Pradella, docente di italiano e latino per i primi 
                    due anni del Liceo, non era antifascista dichiarato come Gallo, 
                    ma ci faceva lezione con impegno e serietà e al di 
                    fuori di ogni retorica propagandistica, il che per i tempi 
                    non era poco.
 (3) Professore di italiano e latino, ha partecipato attivamente 
                    alla Resistenza come membro del Comando Piazza per conto della 
                    Democrazia cristiana, deceduto nella primavera del 2000. Ha 
                    dato un contributo decisivo alla mia formazione culturale.
 (4) Questo individuo me lo sono ritrovato in carcere - finto 
                    detenuto - ancora intento a fare la spia fra i detenuti politici 
                    (nessuno, messo sull'avviso, si è però fatto 
                    infinocchiare) e, come ho saputo subito dopo la liberazione, 
                    ha fatto anche parte del plotone di esecuzione dei 13 di Ca' 
                    Giustinian.
 Cesco Chinello(riduzione a cura di mts)
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