Venerdi 30 giugno
Il perché delle mucopolisaccaridosi, la patogenesi
Le mucopolisaccaridosi sono malattie molto complesse causate da accumulo di sostanze tossiche nella cellula, i mucopolisaccaridi. In questi ultimi anni si sta comprendendo che non è solo l’accumulo di queste sostanze il primo e unico responsabile della morte cellulare, ma piuttosto tutta una serie di processi accessori a cascata. La comprensione di questi meccanismi è essenziale per poter studiare nuove terapie in grado non solo il difetto di base, ma anche i processi accessori egualmente importanti.
Il prof. Walkley, dell’Albert Einstein Institute di New York, approfondirà questo tema e dimostrerà come l’accumulo dei mucopolisaccaridi causi un alterato processo di metabolismo del colesterolo e dei glicosfingolipidi, molecole di particolare importanza per il cervello. Da qui si potrà partire per capire al causa del ritardo mentale così grave dei bambini affetti da mucopolisaccaridosi e anche in altre malattie mentali gravi.
A conferma di quanto detto, il prof. Schuchmann, del Mount Sinai Hospital di New York, illustrerà per la prima volta l’identificazione di un gruppo di 36 geni che risultano alterati nelle fasi acute della malattia ma che si normalizzano quando il paziente riceve la terapia, sembra che questi geni in qualche maniera di si parlano tra di loro e si scambino informazioni. La cosa interessante è che questi geni potranno essere utilizzati come marcatori della malattia prima che questa sia clinicamente evidente.
Su questo interverrà il prof. Timothy Cox, uno dei maggiori esperti mondiali sull’argomento e che lavora all’Università di Cambridge, UK. L’intervento del Prof. Cox verrà ulteriormente approfondito dalla prof.ssa Kathy Dipple, genetista americana che per prima è riuscita a spiegare il perché non sempre si riesca a predire la severità della malattie genetiche. Infatti, grazie allo studio del DNA si pensava che fosse sufficiente isolare il gene responsabile della malattia per capirne la gravità. Ora invece si è riusciti a capire che le stesse proteine espresse da questi geni sono coinvolte in processi complessi, che sono all’origine di gravi compromissioni cellulari. Questa scoperta è particolarmente importante perché può essere utile alla comprensione dei meccanismi alla base di gravi patologie quali il Morbo di Parkinson e la Malattia di Alzheimer.
La diagnosi precoce
Con l’avvento delle nuove terapie, risulta sempre più evidente l’importanza di diagnosticare le malattie prima possibile. Durante il Convegno, quindi, si è pensato di dedicare una sessione specifica a questo problema. Il prof. John Hopwood, dell’Adelaide Children’s Hospital, è uno dei maggiori ricercatori nel campo delle malattie lisosomiali e farà il punto della situazione insieme al dr. Scarpa, del dipartimento di Pediatria di Padova, introducendo la sessione con una disamina dei motivi per i quali è importante la diagnosi precoce. Il riconoscimento precoce della malattia è fondamentale per iniziare precocemente la terapia, quando disponibile ed è importante anche per consentire una consulenza genetica alla famiglia. Fino a pochi anni fa, questo era un argomento difficilmente proponibile. Le malattie da accumulo come le mucopolisaccaridosi, sono, in effetti, estremamente rare e i mezzi di screening della popolazione erano estremamente costosi e tecnicamente complessi.
Passi importanti si sono fatti negli ultimi due anni grazi agli studi del dr. Michael Gelb dell’Università di Washington, Usa e della dr.ssa Gabriela Niizawa di Buenos Aires, Argentina, si è arrivati alla messa a punto di un test in grado di analizzare su una goccia di sangue l’attività degli enzimi implicati nelle mucopolisaccaridosi. Queste tecniche sono a disposizione anche del laboratorio di ricerca del dr. Scarpa presso il Dipartimento di Pediatria dell’Università di Padova, che lavora in collaborazione con il gruppo argentino.
Il gruppo del Dr. Meikle, del Dipartimento di Pediatria dell’Università di Adelaide, sta approfondendo queste tematiche ed illustrerà per la prima volta pubblicamente i suoi risultati utilizzando un test semplice ed economico in grado di rilevare contemporaneamente 11 malattie su una goccia di sangue. Sempre lo stesso Dipartimento in Adelaide ha sviluppato un test diagnostico basato su qualche goccia di urina mediante il quale si riesce anche a valutare come il paziente stia reagendo alla terapia. Infatti, come dirà il Dr. Fueller, mediante l’analisi alla spettrometria di massa la degradazione in molecole infinitesimali di poche gocce di urina permette di misurare la concentrazione dei mucopolisaccaridi che diminuiscono con la terapia. Questo ulteriore test, che si effettua con una bassissima spesa e in pochi minuti, permetterà una verifica in tempo reale della terapia applicata al paziente.
Purtroppo, però, non esiste, a tutt’oggi, una terapia per tutte le malattie da accumulo. Sorge quindi la questione: se questi metodi di indagine venissero applicati ad una popolazione neonatale, saremmo in grado di identificare neonati affetti che possono essere immediatamente curati, ma anche neonati senza ancora segni clinici di malattia che, qualora li evidenziassero, non potrebbero comunque ricevere terapia. Ciò pone dei quesiti di tipo etico estremamente importanti che verranno affrontati dalla genetista irlandese F. Stewart. E’ innegabile che la ricerca ha oramai imboccato una strada che porterà alla scoperta di una terapia anche per le malattie finora incurabili per cui è fondamentale sviluppare una tecnologia diagnostica in grado di identificare precocemente un numero sempre maggiore di malattie.
Modelli animali per le mucopolisaccaridosi
Il prof. Haskins è uno dei maggior esperti mondiali nell’identificazione di modelli animali naturali che riproducono malattie umane. Il suo laboratorio negli Stati Uniti è diventato, nel corso degli anni, un punto di riferimento mondiale e quasi non si contano più il numero di malattie presenti nel mondo animale simili a quelle umane da lui caratterizzate. Il fatto di disporre un modello naturale offre dei vantaggi importantissimi per lo studio dei processi patofisiologici della malattia umana; inoltre, un modello spontaneo, non creato in laboratorio, riproduce in modo pressoché identico la malattia umana. Ecco perché le terapie sperimentate su questo tipo di animali sono degli indicatori attendibili dei risultati che si potrebbero ottenere sull’uomo. Il prof. Haskins presenterà alcuni casi di cani, affetti da mucopolisaccaridosi, che hanno ricevuto terapia nella fase neonatale, riuscendo a guarire quasi completamente.
Risultati importanti verranno inoltre comunicati dal prof. Ellinwood che illustrerà un modello canino per la forma forse più aggressiva di MPS, la Sindrome Sanfilippo, una mucopolisaccaridosi che colpisce sempre in modo grave il sistema nervoso centrale, causando gravi ritardi mentali. Verranno mostrati i primi esperimenti di terapia cerebrale effettuati su questo animale, e ne sarà prospettata l’applicazione anche sull’uomo. Purtroppo, però, l’individuazione di modelli naturali spontanei non è sempre facile, dato che le malattie rare umane sono altrettanto, se non più rare nel mondo animale. Per questo motivo, grazie alla biologia molecolare, si può prendere in considerazione la modifica di cellule germinali di animali in modo tale da indurre difetti simili a quelli umani.
Esempi di queste tecniche saranno illustrate dai gruppi dei prof. S. Tomatsu, Usa, e A. Ballabio, Italia. Il prof. Tomatsu è riuscito a creare un modello murino per la Mucopolisaccaridosi IV, Sindrome di Morquio che ha un’espressione quasi esclusivamente scheletrica, come nell’uomo. Questo modello è particolarmente importante perché la malattia ossea è una forma molto resistente a qualsiasi terapia e i difetti ossei sono sempre estremamente difficili da correggere. Il prof. Tomatsu esporrà il suo modello e anticiperà i risultati ottenuti da terapie sperimentali. Il gruppo di ricerca del prof. Ballabio è uno dei gruppi più importanti che opera nel settore dell’identificazione di geni-malattia. Il Prof. Ballabio è direttore del TIGEM Telethon Institute for Genetic Medicine e illustrerà i risultati di uno studio molto complesso condotto su un animale modello affetto da una malattia rarissima - un topo che manca praticamente di tutte le solfatasi - caso in cui il modello animale può contribuire a svelare meccanismi importanti per lo sviluppo di terapie.
Sabato 1 luglio
Novita’ sulle terapie e sul trapianto di midollo
Questa sicuramente è una delle sessioni più attese dalle famiglie perché, per la prima volta, viene fatto il punto sui progressi di sperimentazioni cliniche in fase avanzatissima (fase III-IV), fasi che in brevissimo tempo consentiranno la registrazione e la commercializzazione dei farmaci.
Il prof. Ed Wraith mostrerà per la prima volta i risultati di uno studio sulla mucopolisaccaridosi tipo I in un gruppo di bambini al di sotto dei 5 anni, una popolazione estremamente importante per comprendere il valore di una terapia somministrata precocemente.
Molto attesa è anche la presentazione del prof. J. Muenzer, North Carolina at Chapel Hill, USA, e del prof. P. Harmatz del Children Hospital di Oakland, California, Usa, che mostreranno per la prima volta i risultati definitivi dello “Studio di fase III” condotto sui pazienti affetti da Mucopolisaccaridosi tipo II e VI. A questi studi hanno partecipato in totale nove pazienti provenienti da diversi centri italiani e coordinati dal dr. Maurizio Scarpa del dipartimento di Pediatria di Padova.
Questi risultati sono stati utilizzati per ottenere dall’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) il permesso di somministrare questi farmaci anche a pazienti non coinvolti in sperimentazioni cliniche. Lo scorso anno un gruppo di clinici italiani, coordinato dal dr. Scarpa, ha ottenuto, primo in Europa, l’autorizzazione ad utilizzare il farmaco su pazienti affetti da mucopolisaccaridosi di tipo VI. Attualmente tutti i pazienti italiani affetti da questa patologia sono in terapia. L’Italia è il primo paese al mondo nel quale tutti i pazienti affetti da una malattia di questo tipo ricevono la terapia. Un altro primato importante, questa volta a livello mondiale, è stata la concessione da parte dell’AIFA di somministrare il farmaco per la Mucopolisaccaridosi di tipo II. Sulla scorta dell’esperienza fatta con la Mucopolisaccaridosi VI , il dr. Scarpa ha coordinato un gruppo italiano ed ha ottenuto come primo, e per ora unico, paese al mondo la possibilità di trattare i pazienti affetti da mucopolisaccaridosi di tipo II anche al di fuori di sperimentazione clinica. Questi due risultati importanti dimostrano quanto siano importanti una collaborazione e un coordinamento adeguati per applicare in maniera corretta ed efficace leggi sulle malattie rare già esistenti.
Sul versante delle altre mucopolisaccaridosi, di tipo III, IV e VII, verranno illustrati dai Prof. Hamsley, Australia, esperimenti che mostrano quali siano le strategie per far giungere al cervello l’enzima terapeutico; va ricordato infatti che la Sindrome di Sanfilippo, ha una espressione esclusivamente neurologica. Il prof. Tomatsu presenterà i risultati ottenuti sulla sindrome di Morquio utilizzando un enzima modificato che sembra essere più disponibile per il tessuto osseo.
Il prof. William Sly parlerà delle prospettive di terapia per la malattia che porta il suo nome. Questa malattia, scoperta nei primi anni 70 dallo stesso Sly, è una delle più rare: in Italia non è ancora stato identificato nessun paziente, tuttavia, è un importante modello per lo studio generale delle mucopolisaccaridosi.
Una delle prime forme di terapia per queste malattie è stato il trapianto di midollo. Fin dai primi anni 80 i pazienti affetti da mucopolisaccaridosi vedevano in questa forma di terapia la loro unica speranza di sopravvivenza. Anche se concettualmente questa forma di terapia potrebbe sembrare la più certa, tuttavia la difficoltà di reperire donatori compatibili e i protocolli di condizionamento, ossia il trattamento con chemioterapici somministrati per pulire il midollo osseo dalle cellule malate, rappresentavano un ostacolo insormontabile: molti pazienti sono deceduti in attesa di trapianto o per le complicanze post-trapianto. Nel corso degli anni, la maggiore tollerabilità dei protocolli di condizionamento e la possibilità di far fronte a reazioni di rigetto e quindi poter utilizzare anche cellule provenienti da donatori non perfettamente compatibili, ha offerto una nuova possibilità di terapia, in attesa che altre soluzioni (come la terapia enzimatica sostitutiva della quale abbiamo parlato nei paragrafi precedenti) fossero disponibili.
L’olandese J. Boelens ha coordinato uno studio europeo di osservazione, durato 10 anni, che ha esaminato un numero considerevole di soggetti affetti da mucopolisaccaridosi (146). Da questo studio emerge che solo un terzo dei pazienti ha potuto ricevere midollo da un parente correlato, e di questi il 16% ha sofferto a causa di una reazione di rigetto, l’11% ha avuto necessità di un secondo trapianto che però dava nell’80% un indice di attecchimento molto alto. Le conclusioni di questo studio retrospettivo ha confermato l’importanza del trapianto di midollo per un tipo di mucopolisaccaridosi, il tipo I o sindrome di Hurler. In esperienze condotte su altri tipi di mucopolisaccaridosi, quali il tipo II e III, i risultati sono stati invece fallimentari, per motivi ancora da identificare.
Il futuro probabilmente risiede nelle cellule staminali. Il prof. Gupta, Magonza, Germania, illustrerà gli ultimi risultati da lui ottenuti con le cellule progenitrici adulte, che non presentano problemi etico-legali per il loro utilizzo e hanno dimostrato di essere in grado di correggere difetti enzimatici. Verranno anche discussi nuovi approcci per curare la malattia cerebrale presente frequentemente nelle mucopolisaccaridosi, mediante l’impianto di cellule staminali nel cervello. Una tecnologia senz’altro utile anche per il trattamento di altre patologie neurodegenerative, quali il Morbo di Parkinson e di Alzheimer.
Ma la ricerca non si limita allo studio di nuove popolazioni cellulari. Il Convegno ha la fortuna di avere tra i suoi relatori la dr.ssa Francis Platt, pioniera nello sviluppo di una nuova terapia che ha come scopo di interferire con il processo di accumulo, ossia di cercare di evitare l’accumulo stesso mediante la somministrazione di molecole sintetiche di piccole dimensioni che bloccano l’accumulo delle sostanze tossiche. Questo approccio è in fase di studio da parte di diversi Istituti nel mondo tra i quali anche il dipartimento di Pediatria di Padova. La dr.ssa Platt aggiornerà l’uditorio con le sue ultime esperienze, specialmente per ciò che riguarda il sistema nervoso centrale. Infatti la dimensione di queste molecole è tale per cui possono superare l’ostacolo naturale della barriera ematoencefalica (vedi oltre).
Un altro approccio particolarmente promettente verrà illustrato dal prof. Robert Desnick, eminente personalità nel mondo delle malattie lisosomiale, noto per aver scoperto il gene della Malattia di Fabry. Il Prof. Desnick riferirà circa la possibilità di curare queste malattie attivando o aumentando l’efficienza di espressione di molecole coinvolte collateralmente al processo primario ma comunque con un ruolo di controllore favorente la funzione (molecole chaperone). Verranno illustrati i risultati ottenuti utilizzando queste molecole in un trial clinico di fase I per la malattia di Fabry e saranno annunciate nuove molecole per altre patologie, quali la malattia di Gaucher, la malattia di Tay-Sachs e altre.
Particolarmente importante sarà l’intervento del ricercatore polacco Grzeg Wegrzyn, che riporterà i risultati di uno studio pilota condotto su pazienti affetti da sindrome di Sanfilippo, ai quali è stata somministrato della soja in grado di diminuire la concentrazione dei mucopolisaccaridi nelle urine. Non è ancora noto in dettaglio il meccanismo con il quale questo derivato della soja, un isoflavone, diminuisca i mucopolisaccaridi, tuttavia, se questo fosse confermato dallo studio collaborativo in fase di progettazione con il gruppo di studio del dr. Scarpa di Padova, la terapia per queste malattie potrebbe costare pochi euro, contro le centinaia di migliaia di euro per anno richieste dalla terapia enzimatica sostitutiva.
Un nuovo progetto: il superamento della barriera ematoencefalica
Finora non si è parlato altro che di terapia enzimatica o mediata da trapianto di midollo e da piccole molecole, e si è accennato in più punti che una delle caratteristiche di queste malattie è il coinvolgimento importante del sistema nervoso centrale, che causa quadri rilevanti di ritardo mentale. Nel nostro organismo, a protezione del cervello, c’ è un muro invalicabile detto “Barriera Ematoencefalica”, che protegge il cervello da sostanze potenzialmente patogene circolanti nel sangue. La barriera ematoencefalica evita che virus, o altri agenti patogeni, abbiano accesso al cervello. Questo sistema protettivo, estremamente efficiente, non è tuttavia in grado di riconoscere sostanze patogene da farmaci utili, visto che l’unico elemento discriminate sono le dimensioni delle molecole che, se piccole, ossia di peso inferiore a 40kDa, passano, ma vengono bloccate se il peso è superiore. Tutte le terapie enzimatiche attualmente disponibili utilizzano enzimi con dimensioni superiori o uguali a 70 kDa, quindi con dimensioni maggiori rispetto a quelle consentite dal filtro della barriera ematoencefalica, e che quindi vengono bloccate. Ecco perché è stato ideato un workshop specifico sulla barriera ematoencefalica, nel quale venga discusso come poter “far passare qualcosa di là”. Infatti, a causa di questa impossibilità per la molecola terapeutica di oltrepassare la barriera il farmaco non riesce a curare la malattia neurologica.
Sono stati invitate tre personalità di rilievo come il prof. Wolburg di Tubinga, Germania, il prof. Beagley, di Londra, e la dr.ssa Leon, di Padova, chiamati ad illustrare le caratteristiche della barriera ematoencefalica in diverse situazioni normali e patologiche in modo da poter discutere, con i clinici esperti in malattie da accumulo, varie strategie per il superamento di questo muro per ora impenetrabile.
Inoltre, vi saranno degli interventi scelti tra i lavori presentati al convegno, tutti non pubblicati, che illustreranno i primi tentativi di superamento della barriera. In particolare, verranno discussi dal gruppo del prof. Hopwood, Australia, e dal dr. Dickson, California, USA, una serie di risultati sulla somministrazione intracerebrale di enzima: questa fa si che l’enzima venga a trovarsi direttamente a contatto con le cellule cerebrali. Anche se questo approccio potrebbe sembrare eccessivamente cruento, terapie simili sono attualmente previste in caso di tumori cerebrali. I risultati sono interessanti, seppure preliminari, in quanto si è evidenziata una diminuzione dell’accumulo di mucopolisaccaridi, pur in presenza di anticorpi meningei, originati probabilmente dal sistema di iniezione.
Un gruppo brasiliano diretto dal dr. Giugliani è andato anche oltre. Ha iniettato enzima direttamente nel liquor cefalorachidiano di un paziente affetto da mucopolisaccaridosi tipo I. La tecnica non ha avuto alcun effetto collaterale negativo sul paziente, confermandone la fattibilità, mutata peraltro da trattamenti di altre patologie in particolare tumorali.
Si conclude la sessione con un approccio interessantissimo del gruppo Giappone che fa capo al dr. Okuyama e dal futuro sicuro, non solo per le malattie oggetto del convegno, ma anche per gravi patologie come morbo di Parkinson e malattia di Alzheimer: l’iniezione di cellule staminali cerebrali in grado di produrre enzimi localmente.
Domenica 2 Luglio
Terapia genica e risultati dell’ultima ora
La terapia genica mira a curare le malattie direttamente intervenendo sulla cellula, aggiungendo una copia del gene normale che sostituisce, nell’espressione, il gene malato. Praticamente consiste nell’ aggiungere alla cellula un gene normale che funziona al posto di quello malato. Concettualmente sembra molto facile, ma dal punto di vista pratico nei venti anni di applicazione di questa tecnologia, dopo i primi eccessivi entusiasmi all’inizio degli anni 90, è stato necessario fare un passo indietro e cominciare a studiare il perché dell’insuccesso.
Al convegno intervengono i due gruppi che più di ogni altro hanno contribuito a mantenere attiva la speranza che un giorno la terapia genica possa essere la terapia di elezione per queste e molte altre malattie. Il prof. J. M. Heard di Parigi, pioniere in questo campo, presenterà i suoi risultati ottenuti grazie all’iniezione intracerebrali di un virus adeno-associato. Un virus naturalmente non patogeno e ulteriormente debilitato attraverso delle manipolazioni necessarie a renderlo navetta per il gene umano. Alcuni esperimenti su una animali modello per la Mucopolisaccaridosi di tipo I, hanno mostrato che l’iniezione cerebrale è priva di effetti nocivi ed è in grado di produrre quantitativi terapeutici dell’enzima mancante in grado anche di trasferirsi da una regione all’altra dell’emisfero cerebrale.
Risultati simili sono stati ottenuti dal gruppo del prof. Hopwood, Australia, in modelli animali per la sindrome di Sanfilippo, confermando la validità della strategia.
Un ulteriore passo avanti è stato condotto dal gruppo del Prof. Muenzer, North Carolina, USA che ha abbinato l’infezione del cervello con vettori adeno-associati all’iniezione dell’enzima nel liquor cefalo-rachidiano, dimostrando una prolungata azione terapeutica in assenza di effetti collaterali negativi.
Due approcci differenti vengono anche proposti per il trattamento di malattie neurodegenerative. Il primo del gruppo del prof. Naldini, prevede l’utilizzo di iniezioni intracerebrali di geni mediati da molecole virali, rese innocue mediante modificazioni genetiche, del virus HIV responsabile di AIDS. Il prof. Naldini è uno dei pionieri nella modificazione del virus HIV a scopi terapeutici. Il virus dell’AIDS addomesticato come terapia e non come virus letale. Il progetto, in fase avanzata, ha come oggetto la leucodistrofia metacromatica, gravissima malattia neurologica pediatrica. Sembra che ci sia l’intenzione di proporre anche una sperimentazione diretta su pazienti nel prossimo futuro.
Un altro approccio interessante, che potrebbe avere ricadute cliniche, è quello proposto dal gruppo del dr. Scarpa di Padova che, pur essendo uno dei primissimi ricercatori impegnati in terapia genica nella seconda metà degli anni Ottanta, ha ora modificato il suo approccio, evitando di usare virus ma piuttosto utilizzando bireattori biocompatibili in grado di produrre costantemente e per periodi molto prolungati, fino a circa 6 mesi, livelli terapeutici di proteine ricombinanti. Il concetto è molto semplice e si basa sull’impianto di microcapsule di qualche micron di diametro contenenti cellule che producono costantemente farmaco. I bireattori non inducono nessun tipo di risposta collaterale e resistono diversi mesi nell’animale. Si auspica che presto qualche ditta interessata sviluppi un sistema per avviare una sperimentazione umana.
A chiusura di questa sessione verrà presentata una notizia importantissima che riguarda l’identificazione del gene responsabile della sindrome di Sanfilippo IIIC, l’ultimo che mancava all’appello dei geni responsabili di mucopolisaccaridosi. Questo gene verrà presentato in anteprima mondiale. Si tratta di un gene, TMEM76, particolarmente interessante perché atipico rispetto ad altri geni implicati nelle MPS, probabilmente appartenente ad una nuova classe di proteine coinvolte nel trasporto cellulare. La scoperta è stata fatta dai gruppi dei dr. Kmoch e Pshezhetsky. Al momento non sono noti i dettagli, che verranno illustrati durante il congresso.
Ufficio Stampa del Comune di Venezia - 9. Simposio Internazionale sulle mucopolisaccaridosi - Lido di Venezia - 29 giugno, 2 luglio 2006 - Tel. 041 2720036 - 340 7624532
|