Si è chiusa ieri sera al Museo Fortuny, dopo 17 giorni di apertura, la mostra “Shoah, l’infanzia rubata”, realizzata su iniziativa del Consiglio comunale, con l’attività dell’Ufficio del Consiglio, in collaborazione con l’Associazione Figli della Shoah, gli Itinerari educativi, i Musei civici veneziani, la Comunità ebraica di Venezia, nell’ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria.
Marina Scarpa Campos, dell’Associazione Figli della Shoah, che ha condotto le visite guidate per le scuole, ha ricordato che nei quindici giorni feriali di apertura, ogni giorno si sono succedute tra le 15 e le 17 classi, dalla quarta elementare alla quinta superiore; e quindi, anche se non è stato tenuto un conteggio accurato, si può valutare in circa cinquemila il numero dei ragazzi veneziani che hanno partecipato all’iniziativa. Il rapporto con il mondo della scuola è assolutamente fondamentale – aveva detto Mara Rumiz nella conferenza stampa di presentazione – se si vuole costruire un futuro basato sulla conoscenza e sul ricordo del passato: perché è nella scuola che si forma una coscienza che impedisca il ripetersi della tragedia che è stata. Intensa è stata anche la partecipazione di un pubblico adulto, con punte di 50-60 persone presenti contemporaneamente durante le giornate festive: ma, oltre al registro delle firme, non è stata tenuta contabilità (la mostra, infatti, era a ingresso libero).
Come noto, all’interno della tragedia della Shoah, la mostra ha focalizzato l’attenzione sui bambini e sugli adolescenti che ne furono vittime (un milione e mezzo di uccisi nei campi di sterminio) ed era organizzata più emotivamente che storicamente, proprio perché attraverso emozioni vere i ragazzi potessero essere sensibilizzati alla tragedia che ha travolto l’Europa in anni non lontani e quindi alla necessità di una coscienza civile e umanitaria sempre vigile. Ai cinquanta pannelli della mostra itinerante, sono stati aggiunti undici pannelli che ricordavano i bambini ebrei veneziani dall’inizio della discriminazione alla persecuzione fino alla rinascita della Comunità nel 1945.
Parte della mostra era dedicata a Janusz Korczack, un pediatra e pedagogo polacco che fu in prima linea per salvaguardare i diritti dei bambini ebrei nel Ghetto di Varsavia e che fu ucciso con 192 di essi nel campo di Treblinka. Da ciò scaturiva un messaggio propositivo per i ragazzi: così come allora ci fu chi cercò di fare qualcosa per opporsi allo sterminio e proteggere le vittime, ciascuno di noi può fare qualcosa per impedire il ripetersi di ogni discriminazione e violenza.
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