Notizie biografiche: |
L’ingegnere Eugenio Miozzi nacque a Brescia il 16 settembre 1889. Dopo aver compiuto il Liceo ad Ancona si trasferì a Bologna dove si laureò, a pieni voti, in Ingegneria Civile, il 29 luglio 1912.
Sempre nel 1912 risultò primo in graduatoria per l’ammissione al “Real Corpo del Genio Civile” e inoltrata la domanda al Ministero dei LL.PP., il 2 novembre 1912 gli venne accordata, dal governo, l’autorizzazione a partire per la Libia. Nel soggiorno in Tripolitania e Cirenaica si collocarono le prime esperienze costruttive destinate a lasciare in lui un solido bagaglio tecnico. Costruì le strade coloniali Bengasi-Driana e Bengasi-Ghermines, a Tripoli diresse i lavori marittimi per la costruzione del molo di Sparto e la Pressa di Hassan, partecipò, nel 1914, alla stesura del Piano Regolatore di Tripoli e per ultimo si occupò della creazione di un enorme impianto a El-Qattara, destinato ad incanalare l’acqua del mare e trasformarla in energia mediante l’evaporazione.
Nel 1919, ritornato in Italia, venne inviato al Genio Civile di Udine. Successivamente trasferito a quello di Belluno essendo divenuto, nel mentre, Ingegnere Principale di Sezione, tra il 1919 e il 1927, progettò e ricostruì tutti i ponti delle strade nazionali della provincia cadorina distrutti dalla prima guerra mondiale. Tra i più famosi vi sono quello della Vittoria sul Piave, di Ponte delle Alpi, di Gogna, di Arsiè sul Cismon, della Serra di Val Roana, della Lasta sul Piave, sul Maé a Longarone, di Perarolo sul Piave, del Tergonzo a Fener e alla ricostruzione della strada tra Cima Gogna e Santo Stefano.
Nel 1927, costituitasi la provincia di Bolzano, venne qui nuovamente trasferito per occuparsi della sistemazione e del miglioramento del regime idraulico dei fiumi locali, provvide alla sistemazione delle bonifiche delle bassure vicino Merano, in linea con i piani nazionali di bonifica, procedette alla sistemazione di caserme cittadine, alla costruzione di numerose scuole, asili infantili e nuove caserme di confine.
Con la nascita dell’A.N.A.S. (Azienda Nazionale Autonoma Statale della Strada), l’ing. Miozzi divenne capo del relativo Compartimento della Venezia Tridentina e del Cadore, comprendente le province di Belluno, Trento, Bolzano e iniziò a partecipare a numerosi congressi internazionali sulle opere pubbliche. Nel 1928 rappresentò il Ministero dei LL.PP. a Vienna in occasione del congresso internazionale sui ponti e le grandi costruzioni. Eseguì in tal periodo la grande strada del Brennero lunga 207 Km., curò la sistemazione delle strade accessorie che portavano al confine alpino in vista del rafforzamento dell’asse Roma-Berlino.
Costruì tra il 1928 e il 1931 vari ponti nel bolzanino quali quelli di Chiusa, di Cantinafredda e di Fortezza dove per la prima volta in Italia attuò l’autocompressione delle murature delle volte. Nel ponte di Stringo in Val Sugana (1929-30) sperimentò il primo esperimento in Italia di pretensione dei ferri di un ponte in cemento armato; tra tutti spiccò l’erezione del Ponte Druso sulla Talvera a Bolzano particolarmente curato dall’ingegnere anche nella decorazione ornamentale poi rimossa dal Comune di Bolzano nel 1974.
Nel 1931, fu trasferito a Venezia quale vincitore del Concorso Pubblico per Titoli di Ingegnere della Direzione Lavori e Servizi Pubblici del Comune: divenne, in tal ruolo, l’indiscusso regista della grande trasformazione novecentesca della città destinata a stravolgere equilibri secolari. Esercitò il ruolo di tecnico comunale per oltre vent’anni, in momenti non facili della storia nazionale, che lo portò ad essere considerato l’ultimo grande “costruttore veneziano”, ma subire, al tempo stesso, una temporanea sospensione dal servizio nell’immediato dopoguerra per esserne poi riammesso poco dopo a pieno titolo e collocato definitivamente a riposo, per limiti di età, il 31 dicembre 1954.
Il 15 ottobre 1973 gli fu riconosciuto, all’unanimità del Consiglio Comunale, il titolo onorifico di Ingegnere Capo Emerito del Comune di Venezia definendolo “un novatore e contemporaneamente un restauratore dei vecchi sistemi” .
Attuando una rivoluzione urbanistica di importanza paragonabile, se non superiore, a quella esercitata dal governo austriaco a metà ottocento collegò definitivamente Venezia alla terraferma con la creazione del ponte automobilistico ribadendo la nuova direttrice di sviluppo della parte occidentale della città divenuta, poi, a tutti i livelli, l’area definitiva di accesso al centro storico lagunare.
Le riserve con le quali la sua opera venne spesso valutata furono il sintomo più evidente del disagio conseguente al grande processo di riqualificazione urbana realizzato dal fascismo, che spesso si accanirono sulla sua figura di tecnico comunale come chi, più di chiunque altro, aveva promosso un traumatico rinnovamento scuotendo Venezia dall’immobilismo.
Il periodo comunale del Miozzi , negli anni trenta, coincise con l’epopea fascista caratterizzata da un monumentalismo di regime e dalla logica di sventramento del “piccone risanatore”, che impresse in breve tempo alla città una svolta modernista.
Miozzi, ne fu l’abile mediatore, sempre, però, rispettoso della singolarità veneziana; progettò ed effettuò la sostituzione dei due ponti in ferro sul Canal Grande, ormai fatiscenti, costruiti dall’ingegner Neville a metà ottocento, con il ponte dell’Accademia in legno provvisorio (inaugurato il 19 febbraio 1933) e il Ponte degli Scalzi in pietra (inaugurato il 28 ottobre 1934).
Il Ponte dell’Accademia definitivo doveva esser poi sostituito con il progetto di Duilio Torres in pietra, evento che mai avvenne per l’arrivo della guerra e,quindi, il “provvisorio” dell’ingegnere comunale fu destinato dalla storia a diventare definitivo.
Provvide, in questi anni, anche alla ricostruzione del Ponte dell’Arsenale sul Rio delle Galeazze a doppia travatura ad angolo prendendo a modello l’antico ponte levatoio.
L’opera che legò definitivamente il nome dell’ingegner Miozzi al futuro di Venezia fu la creazione del Ponte della Libertà, allora detto “Ponte del Littorio” che collegava Venezia alla terraferma via gomma,con, in contemporanea, la creazione del Piazzale Roma, l’escavo del Rio Nuovo con la costruzione dei suoi relativi ponti , e la realizzazione del Garage Comunale.
La grande opera infrastrutturale, effettuata in meno di due anni, destinata a cambiare la storia di Venezia, fu l’ultimo grande cantiere veneziano se si eccettua quello attuale, in corso d’opera, del Mose.
I lavori rientravano in un grande e ambizioso progetto, redatto interamente dal Miozzi, che andava sotto il nome di “Opere di congiungimento di Venezia alla terraferma” inaugurato il 25 aprile 1933 quando Umberto 2°, Principe di Piemonte e la moglie Maria Josè, il giorno dell’inaugurazione percorsero il ponte in macchina, sostarono e attraversarono a piedi il Piazzale Roma per poi, a bordo di un motoscafo, passando per il Rio Nuovo giungere sino a San Marco.
Il piano definitivo previsto dall’ingegnere per il Piazzale Roma non fu mai terminato e fu destinato a restare una grande incompiuta veneziana. Miozzi aveva, già al tempo, anche delineato l’eventualità di un quarto ponte sul Canal Grande da erigersi esattamente dove sta per essere terminato quello di Santiago Calatrava.
L’autorimessa comunale, esempio di architettura razionalista, al tempo il più grande garage d’Europa, fu terminata, con la costruzione della seconda ala verso il parcheggio A.C.I., interamente, nell’assetto odierno, dopo la guerra.
Progettò e realizzò il Casinò del Lido, ultimato nel 1938 (vedi scheda), il contemporaneo restauro di Ca’ Giustinian a Venezia, e curò l’intera sistemazione urbanistica lidense dell’area del Casinò e del vicino Palazzo del Cinema improntando la progettazione del terzo palazzo mai realizzato per gli eventi bellici, ma ritornato ora prepotentemente alla ribalta.
Curò , nel 1936, il “Piano di sistemazione del Teatro Comunale ‘La Fenice’, che ne prevedeva un totale restauro intervenendo nel distributivo interno, apportando “tutte le modifiche possibili, ma senza alterarne l’originario assetto architettonico”. I materiali relativi, da lui redatti per tale restauro, si sono rivelati assai utili nella recente ricostruzione del teatro.
Nel 1939, alla vigilia dello scoppio della guerra, Miozzi curò “il Progetto di massima per il piano di risanamento di Venezia insulare” destinato a rappresentare un’importante fase nella storia della pianificazione urbanistica veneziana. Consisteva in provvedimenti di salvaguardia indispensabili per il risanamento della città e partendo dalle premesse del piano del 1891, valutava la situazione abitativa, evidenziava le aree costruibili, comprendeva provvedimenti in materia idraulica e di defluibilità delle acque.
L’ultimo lavoro curato per conto del Comune di Venezia, prima del pensionamento, fu la progettazione dell’Isola Nuova del Tronchetto.
Lasciata l’attività pubblica Miozzi si dedicò ad un’intensa attività privata che lo portò a continuare la sua opera di costruttore, a occuparsi della creazione di numerosi impianti idroelettrici in alto Cadore e allo studio delle problematiche lagunari legate alle acque alte lavorando con il figlio ing. Giuseppe Miozzi e il genero ing. Mario Croff.
Erede della cultura eclettica degli ingegneri ottocenteschi si dedicò a problematiche di largo respiro che spaziavano dalla progettazione edilizia a quella infrastrutturale con un’intuizione quasi preveggente delle problematiche future della città. Infatti, oltre alla progettazione del terzo palazzo del Lido, di un eventuale quarto ponte in Canal Grande, Miozzi a metà degli anni cinquanta, ormai in pensione, si misurò con la progettazione , nel 1956, di un’originale autostrada sublagunare che dal Tronchetto, passando per le Fondamente Nuove, l’isola della Certosa proseguiva sino al litorale del Cavallino collegandosi in diramazioni secondarie al Lido.
Nel 1957, prevedendo la futura delocalizzazione dei traffici marittimi industriali a Porto Marghera, lanciò l’idea di un nuovo porto a Sant’Ilario, sulle barene di fronte alla bocca di Porto di Malamocco, per salvare gli equilibri lagunari e , sempre nel 1956 progetta a più fasi l’autostrada d’AlemagnaVenezia-Monaco, la quale, se realizzata, avrebbe fatto, a suo dire, del Porto di Venezia lo scalo terminale dei mercati tedeschi.
Negli ultimi anni di incessabile attività, sino alla morte avvenuta il 10 aprile 1979, si dedicò ai problemi di salvaguardia di Venezia dalle acque alte studiando i fenomeni di subsidenza e eustatismo. Ha lasciato una miriade di scritti e l’opera omnia sulla storia di Venezia:“Venezia nei secoli”.
La sua lucidità nel cogliere e prevedere, in tempi non ancora maturi, con grande razionalità e lungimiranza le problematiche future di Venezia , fanno di lui il precursore di idee di grandissima attualità, dibattute solo ora, dopo cinquant’anni, e in via di realizzazione, quali: la costruzione del quarto ponte in Canal Grande , il terzo palazzo del Lido , il riassetto di Piazzale Roma, il futuro del Porto e dei suoi traffici commerciali, la metropolitana sublagunare, il proseguimento dell’autostrada del Brennero.
La sua versatilità e poliedricità non furono mai interamente comprese, avendo essenzialmente operato per Venezia soprattutto in un’epoca di successiva rimozione storica collettiva.
Per tal motivo, la sua opera è stata spesso sminuita, fastidiosamente denigrata, com’ebbi modo di riscontrare al tempo della stesura della mia tesi di laurea, con la quale, per la prima volta, veniva affrontata la sua discussa figura ,grazie soprattutto alla collaborazione della sua famiglia.
Solo ora, nel terzo millennio, dopo tanto tempo, si comincia a rivalutare il lavoro di questo valentissimo ingegnere liberandolo dai retaggi culturali dell’epoca in cui operò e rileggendo la sua testimonianza in maniera oggettiva. |