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Relazione sulla missione in Israele e Palestina, 22-25 gennaio 2003

Con Alberta Basaglia, funzionario del Centro Pace, ho partecipato ad una missione in Israele e Palestina su incarico del Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace. Insieme a noi c'erano anche i rappresentanti del Comune (l'Assessore Raffaele Porta) e della Provincia di Napoli (il Vicepresidente Nicola De Luca e l'Assessore Guglielmo Allodi), accompagnati da rappresentanti di Associazioni e operatori della stampa: in tutto 13 persone.

Scopo del viaggio era quello di verificare le condizioni e costruire il programma per una missione di un'ampia delegazione delle città italiane da organizzare per il prossimo periodo pasquale.
L'idea di fondo che muove il Coordinamento degli Enti Locali per la Pace è che, dopo il fallimento dei Governi che non sono riusciti né a convocare la Conferenza Internazionale sul Medio Oriente né a incidere nei confronti di Israele e dell'Autorità Palestinese per porre fine al conflitto, sia necessario mobilitare le città per tentare di avviare un processo di pace "dal basso".

In effetti gli unici canali di dialogo rimasti ancora aperti sono quelli tra alcune città israeliane e palestinesi. Anche le Associazioni delle Autonomie Locali di Israele e della Palestina (APLA e ULAI) mantengono, tra mille problemi e difficoltà, alcuni fili di collaborazione.

Gli Enti Locali che compongono il Coordinamento condividono un convinzione: la pace è possibile solo attuando il principio di "due Stati per due popoli". Va finalmente istituito lo Stato Palestinese e va assicurata la piena sicurezza allo Stato di Israele.
Nei fatti, siamo assai lontani dal raggiungimento di questo obiettivo. Le risoluzione dell'ONU non sono mai state applicate, le speranze che avevano accompagnato i negoziati di Oslo e di Camp David sono del tutto svanite.

La situazione nei territori palestinesi è ancora più grave che ad aprile. Allora eravamo nel mezzo di una vera guerra: esercito nel cuore delle città palestinesi, spari, coprifuoco totale… C'era, però, la convinzione che dopo il fuoco inevitabilmente le condizioni sarebbero migliorate. Così non è stato.
Oggi c'è una stabilizzazione angosciante. Tutte le città sono chiuse:non si può né entrare né uscire. L'economia è del tutto sfasciata, non esistono attività, il commercio è residuale, il tasso di disoccupazione va dal 70 al 90%, le Università sono chiuse, le scuole, anche quelle elementari o sono chiuse o funzionano a intermittenza. Che volontà di pacificazione può maturare in un ragazzo che non può andare a scuola, che non può aspirare ad un lavoro, che non può uscire da casa, che non ha la possibilità di conoscere la città che sta a 20 chilometri di distanza?
Michel Sabbah, Patriarca di Gerusalemme, sempre più stanco e rassegnato, ha affermato: "Nelle terribili condizioni in cui vivono i Palestinesi si rischia di perdere la fede".
Lo stesso Sindaco Israeliano di Rishon Le Zion riconoscendo le fortissime disuguaglianze esistenti, ha detto: "Non possono vivere vicini due popoli di cui uno ha un reddito procapite di 17.000 dollari l'anno e l'altro di 1000."

Abbiamo sperimentato direttamente le enormi difficoltà della vita quotidiana: non solo gli estenuanti e umilianti controlli (e attese) ai check point, non solo l'impossibilità di circolare all'interno delle città, non solo il dover assistere impotenti al blocco per ore di autoambulanze con malati o feriti con la motivazione dei controlli (è altissimo il numero di bambini nati nell'ultimo anno ai check point), ma anche le fatiche improbe fatte per ottenere i permessi per portare a Napoli 11 bambini affetti da gravissime cardiopatia e che devono essere operati al più presto. In attesa dei visti due di essi sono morti.

Certamente anche la vita degli Israeliani è difficilissima: la paura di attacchi terroristici domina su qualsiasi azione quotidiana. Per fortuna, però, il bisogno di sopravvivenza è più forte. Dopo ogni attentato la città si paralizza, la gente non esce di casa. Dopo alcuni giorni il desiderio di vivere è più forte della paura. Rispetto ad aprile al situazione nelle città israeliane (Gerusalemme Ovest, Tel Aviv, Rishon Le Zion) risultava di molto migliorata: le strade e i locali erano pieni di gente, c'era un'apparente normalità.

Continuano gli insediamenti israeliani in territorio palestinese. Nuovi cantieri sono avviati e si tende sempre più a fare delle infrastrutture viarie delle insuperabili barriere che isolano i villaggi palestinesi. Procede la realizzazione del muro (anche intorno a Betlemme).

Nei quattro giorni di permanenza abbiamo incontrato le seguenti persone:

22 gennaio

A Gerusalemme: il Console Ghisi, ci ha manifestato la soddisfazione per la modalità con cui si sta organizzando la missione di aprile e per il lavoro che si sta facendo per raccogliere le sinergie, per selezionare i progetti di cooperazione, per evitare i doppioni. Sarebbe opportuno che passasse il concetto di "sistema Italia" anche nella cooperazione.
Nel presentare la situazione, ci ha fatto presente che l'economia è uscita con le ossa rotte da un anno di emergenza. Tutti i territori sono diventati di tipo B: amministrazione palestinese e sicurezza israeliana. I bambini non riescono ad andare a scuola, sono terrorizzati, ma la famiglia non è disgregata. Sarebbe, perciò, sbagliato portarli via. Vanno invece incentivate le adozioni a distanza.
Ci ha fatto presente che nella sede del Consolato a Gerusalemme Est hanno aperto un Ufficio le Regioni Toscana, Umbria e Emilia-Romagna. È ancora disponibile una stanza.
Sarebbe assai positivo se il Coordinamento degli Enti Locali per la Pace decidesse di aprire un proprio Ufficio: ogni città potrebbe poi alternarsi per assicurare la continua presenza.

A Nablus: Adnan O. Derhalli, Vice Sindaco, ha evidenziato la drammaticità della situazione: la città, prima fiorente centro commerciale e industriale e centro del distretto sanitario di tutto il Nord della Palestina, è al disastro economico. Più del 70% di disoccupati, non c'è possibilità di collegamento con i villaggi intorno, il coprifuoco è continuo, le scuole chiuse. Da quando Nablus è stata occupata, ad aprile, buona parte del centro storico è stato demolito.
Norvegia e Giappone stanno sostenendo la ricostruzione. La città non vuole vivere di carità, ma si chiede l'aiuto per rimettere in piedi l'economia e dare lavoro ai cittadini.
"Anche gli Israeliani stanno male, perché c'è il terrorismo. Purtoppo è più facile che ci siano atti di terrorismo quando non c'è lavoro, non c'è casa, non c'è tessuto sociale, quando magari si assiste all'uccisione di un bambino. È indispensabile dialogare. Il Governo vede solo la propria sicurezza. Tanti Israeliani vogliono la pace: con questi vogliano dialogare. Prima di aprile avevamo costruito relazioni con tanti Comuni Israeliani. Nonostante le mille difficoltà, è necessario continuare il dialogo. Purtroppo negli ultimi due anni ci sono stati ben 70 nuovi insediamenti e altri sono in programma. Li chiamano insediamenti casuali."
C'è da segnalare che arrivare a Nablus (e uscire da Nablus) è stato particolarmente faticoso: blocchi in diversi check point, superamento delle barriere "artificiali" (cumuli di terra, pietre, a volte lamiere, etc.), cambi plurimi di mezzi di trasporto… Essendo Nablus sede dell'ospedale distrettuale, numerosissime erano le autoambulanze ferme ai posti di blocco. Per tutta la giornata c'è stato coprifuoco.

A Tel Aviv, Giulio Terzi, Ambasciatore d'Italia, ci ha parlato della situazione politica in Israele e delle prossime elezioni. Anch'egli condivide il tentativo di costruire rapporti tra le città, per mantenere in piedi canali di comunicazione tra Israeliani e Palestinesi.
Ha auspicato una collaborazione di Venezia nel progetto dedicato alla nostra città della Società Dante Alighieri.

23 gennaio

A Rishon Le Zion, Meir Nitzan, Sindaco e Presidente di ULAI (l'Associazione dei Comuni Israeliani), esprime un saluto particolarmente caloroso, visto che la nostra visita gli era stata preannunciata dal Sindaco di Nablus, nonché Presidente di APLA (l'Associazione dei Comuni Palestinesi), a cui lo legano rapporti di amicizia e di collaborazione. "Durante la seconda guerra mondiale avevo 12 anni e vivevo in Romania. Ho vissuto le persecuzioni e quindi capisco bene la situazione dei Palestinesi," ha detto. Ha aggiunto che il processo di pacificazione è possibile partendo dalle Comunità Locali. Nel 1948 lo Stato di Israele, appena fondato, ha accettato di dividere il territorio con i Palestinesi e, conseguentemente, la convivenza di due Stati.
Sono intervenuti anche cinque ragazzi, fra cui una ragazza che ha perso a novembre i genitori e altri cinque parenti in un attacco terroristico. Tre di loro si sono detti disponibili a incontrare ragazzi palestinesi e fiduciosi che ci possa essere qualche spiraglio per la pace. Ci hanno fatto fare un giro per la città, la quarta per dimensioni e importanza di Israele. È una città attrezzata, organizzata e ottimamente servita. Un intero quartiere è stato realizzato in tre anni: strutture perfette, giardini, strade, parcheggi, scuole, strutture sportive…

A Gerusalemme: Mons. Michel Sabbah, Patriarca Latino e Presidente di Pax Christi, estremamente stanco e demoralizzato, ci ha detto che la situazione è davvero insostenibile. È arrivato a dire che non c'è più speranza, anche se si deve sempre sperare. Le condizioni sono difficilissime anche per il clero.

Benjamin Lazar, Comunità Italiana in Israele e Vice Presidente della Società Dante Alighieri, si è soffermato sulla pesantezza della situazione israeliana, sottolineando la continua angoscia per gli attacchi terroristici che si susseguono (la sera prima era stata trovata un'auto con 300 chili di esplosivo). Ha ricordato come stia aumentando in modo esponenziale il tasso di disoccupazione anche per gli Israeliani. Secondo lui non è in corso alcun nuovo insediamento: si sta costruendo esclusivamente in aree già israeliane.

24 gennaio

A Betlemme, Padre Ibrahim Faltas, ci riceve all'interno della scuola annessa alla Chiesa della Natività (oltre 1100 studenti, dalle elementari alla maturità). A lui consegno l'ordine del giorno approvato dal Consiglio Comunale il 20 gennaio con cui si sostiene la candidatura al Premio Nobel della Pace dei Frati Minori della Natività.

Incontriamo poi Hanna Nasser, il Sindaco, durissimo nell'esporre la drammaticità della situazione in cui versa la città, fino all'aprile del 2002 meta di un turismo mondiale. Ci consegna l'appello qui allegato e ci invita a operarci per le adozioni a distanza.

Kibbutz Metzer (tra Kalkirja e Hadera). È sempre stato considerato il kibbutz più "aperto" di tutta Israele, con rapporti consolidati con la comunità palestinese che vive a poca distanza. Qui, un paio di mesi fa, due terroristi palestinesi, con gli abiti dell'Esercito Israeliano, sono entrati e hanno ucciso due bambini e due adulti. Nonostante questo, Dov Avital e gli altri abitanti hanno mantenuto aperti i canali di collaborazione e di amicizia con i Palestinesi. Sapendo della nostra visita ci hanno fatto trovare gli amici palestinesi del villaggio vicino.

25 gennaio

Hebron, Mustafa Abdel-Nabi Natshe, Sindaco, che ci riceve prima in Municipio e poi ci invita a pranzo a casa sua. Hebron è una delle città maggiormente colpite. Ci sono circa 200.000 abitanti palestinesi e 300 coloni. Per la "difesa" di questi coloni la città è messa a ferro e fuoco.
La città vecchia, in cui si trova la tomba di Abramo, è sotto il controllo israeliano. La moschea è divisa in due. Con la motivazione di prevenire il terrorismo l'Esercito distrugge una casa dopo l'altra.
Al Sindaco consegno l'appello già sottoscritto da numerose personalità della cultura italiana per tentare di fermare la distruzione dell'antico quartiere Jaber.
Quando ci viene annunciata la sospensione del coprifuoco dalle 12 alle 15, decidiamo di recarci nella città vecchia, completamente occupata dagli israeliani. I musulmani che vogliano recarsi a pregare nella moschea sono costretti ad estenuanti attese ai check point. Ho l'emozione di vedere "dal vivo" e da vicino le abitazioni ottomane per cui avevo lanciato l'appello prima delle vacanze di Natale. Mentre passiamo dei ragazzi israeliani ci lanciano delle pietre.

Mentre noi partiamo la notte tra il 25 e il 26 per poter essere a Venezia per presenziare al Giorno della Memoria, i colleghi napoletani si fermano altri tre giorni per condurre a termine le operazioni burocratiche legate alle autorizzazioni all'espatrio dei bambini che devono essere operati nelle strutture sanitarie della Campania.
A causa della coincidenza con le elezioni (28 gennaio) la situazione si aggrava. Tutte le città vengono messe sotto coprifuoco e gli attacchi si moltiplicano. Riescono anche a incontrare Arafat . Il 29 la delegazione napoletana riparte portando con sé un bambino dodicenne di Nablus che deve subire il trapianto del cuore. Per altri otto bambini i passaporti sono pronti.

Mara Rumiz                       
Presidente del Consiglio Comunale


 

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