Intervento di Mara Rumiz sul rinvio
delle iniziative di pace promosse per il 29 giugno da Israeli-Palestinian
Peoples’ Peace Campaign
“Strade costruite per non vedere, percorsi che non offrono possibilità
di incontro, una scelta precisa di invisibilità: questo è
ciò che accade tra israeliani e palestinesi e l’aspetto più
terribile è l’assoluta incomunicabilità, la non condivisione
di significati e di valori tra questi due popoli, l’assoluta simmetria
in questa tragica negazione dell’altro” – così
diceva lo scorso 13 giugno,in Campo Sant’Angelo, sotto la tenda
di Fondamenta, il poeta israeliano Alon Altaras. Ed è proprio perché
è questa la situazione del Medio Oriente che la catena umana che
avrebbe dovuto realizzarsi a Gerusalemme il prossimo 29 giugno assumeva
uno straordinario ed emblematico significato.
Per la prima volta rappresentanti dei due popoli, uniti nell’Israeli-Palestinian
Peoples’Peace Campaign, lanciavano una proposta unitaria così
sintetizzabile: “Di fronte alla tragica situazione di violenza,chiusure,
distruzioni, sofferenze e paura che affliggono sia il popolo israeliano
che quello palestinese, è venuto il tempo per coloro che credono
nella pace e nella giustizia di unirsi in azioni popolari di pace. La
maggioranza di entrambi i popoli crede possibile una pace basata sulla
fine dell’occupazione, sulla creazione
di due Stati per due popoli e su Gerusalemme, capitale
sia di Israele che della Palestina”.
Le occupazioni militari delle principali città palestinesi decise
dopo gli ennesimi attacchi terroristici in territorio israeliano rendono
impossibile l’effettuazione di tale manifestazione, già autorizzata
dalle Autorità Israeliane. Risulterebbe assente, infatti, tutta
la parte palestinese, impossibilitata a raggiungere Gerusalemme. Credo
nella necessità di operare affinché tale iniziativa si possa
svolgere in un altro momento: sarebbe deleterio disperdere il patrimonio
di lavoro unitario tra i due popoli e i contatti costruiti con la comunità
internazionale. La presenza di rappresentanze istituzionali non è
di maniera o per il puro gusto di esserci: è una delle condizioni
imprescindibili perché Israeliani e Palestinesi continuino a parlarsi.
Abbiamo sempre detto che i due popoli da soli non ce la possono fare,
visto il muro di odio che fra di loro si è creato. Troppo flebile
è la voce dell’Europa, degli altri Paesi: se viene a mancare
anche il sostegno che le comunità locali hanno finora assicurato,
la solitudine di Israeliani e Palestinesi sarà totale!
Il Consiglio Comunale di Venezia, sin dall’ottobre 2001, ha operato
con grande impegno, sensibilità e rigore per dare un proprio contributo
alla costruzione di un processo di pace in Medio Oriente.
Mettendo al bando gli schematismi, le posizioni pregiudiziali, le semplificazioni,
i facili slogan, si è cercato di approfondire le conoscenze, di
conoscere le ragioni degli uni e quelle degli altri: da qui è nata
l’idea del presidio, che per un’intera settimana, ad aprile,
a Ca’ Farsetti, ha dato la possibilità a tanti – agli
studenti, innanzitutto – di partecipare a confronti in diretta fra
vari interlocutori, israeliani e palestinesi, storici, giornalisti, esperti.
Per sottolineare l’urgenza di un maggior coinvolgimento della comunità
internazionale, per portare una rinnovata solidarietà alla popolazione
colpita dal conflitto e per costruire progetti di cooperazione, è
stata poi organizzata una missione in Israele e nei Territori Palestinesi,
a cui in rappresentanza di tutto il Consiglio, oltre a me, ha partecipato
il consigliere Giorgio Suppiej.
Coerentemente con i documenti votati all’unanimità dal Consiglio
Comunale e con l’impostazione data a tutte le iniziative fin qui
promosse dal Consiglio era stato deciso di partecipare anche a questa
missione, promossa dal Coordinamento Nazionale degli enti Locali per la
Pace. Accanto agli altri rappresentanti dell’Amministrazione Comunale
(l’Assessore Cacciari, la responsabile del Centro Pace, Alberta
Basaglia, la Presidente della Consulta delle Cittadine, Mara Bianca) ci
sarei stata anch’io.
Quattro sono le cose che possiamo, che dobbiamo, fare qui a Venezia per
dare un contributo alla costruzione di un processo di pace: 1) predisposizione
di progetti di cooperazione , con particolare riferimento a Betlemme;
2) sollecitazione al Governo e all’Unione Europea affinché
finalmente si assuma un’iniziativa finalizzata all’invio di
forze di interposizione; 3) promozione di iniziative a Venezia mirate
a costruire un dialogo tra Israeliani e Palestinesi (come è stato
con l’iniziativa a Palazzo Ducale lo scorso 11 marzo e quella del
12 giugno con Manuela Dviri e Mary Bittar); 4) sostegno alle iniziative
promosse da esponenti e cittadini israeliani e palestinesi mirate a costruire
un processo di pace “dal basso” (come “Time for peace.
Israeli-Palestinian Campaign”, per l’appunto).
Accanto a ciò c’è l’impegno di sempre del Consiglio
per promuovere iniziative, d’intesa con la Comunità Ebraica,
mirate a debellare alla radice qualsiasi germe di antisemitismo e di razzismo.
So che su questo programma il Consiglio Comunale ci sarà fino in
fondo.
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